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Economia

Il colpo di grazia dell’Ue alla pesca siciliana

di Redazione -





di GIUSEPPE MESSINA
Siamo sicuri che l’Unione Europea, nel perseguire ostinatamente l’obiettivo di salvare il mondo dall’inquinamento non abbia, in realtà, varato un disegno preciso, volto a creare profitto stabile e duraturo per alcune società multinazionali, le quali si sono arricchite con le importazioni di prodotti alimentari di largo consumo penalizzando, scientemente, l’agricoltura e la pesca italiane. Varata nel 1962, con la politica agricola comune (PAC), l’Unione Europea si è prefissata obiettivi importanti quali la tutela degli agricoltori, il sostegno delle produzioni e della produttività agricola al fine di garantire un ragionevole tenore di vita e la più generale sicurezza alimentare. Tra questi, si è posta anche la finalità di aiutare gli agricoltori comunitari ad affrontare i cambiamenti climatici e a mantenere in vita l’economia rurale e l’occupazione nel settore agricolo, nelle industrie agroalimentari e lungo la filiera. Eppure, la rivolta dei trattori in tutta Europa racconta assolutamente un’altra storia: una realtà fatta di limitazioni, divieti, controlli asfissianti e ripetuti tentativi di messa al bando di alcune produzioni di eccellenza. L’introduzione delle farine di insetti, per esempio, come va interpretata? La PAC è finanziata tramite due fondi: il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) che fornisce sostegno diretto agli agricoltori e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) che finanzia lo sviluppo rurale. Il fondato dubbio è che l’Unione Europea, tramite l’esborso di miliardi di euro negli ultimi decenni, abbia fortemente voluto il profondo mutamento della capacità produttiva dell’agricoltura europea, penalizzando fortemente l’agricoltura siciliana, che è ai vertici europei per produzioni biologiche e certificate. Stessa cosa dicasi per l’attività di pesca, altro settore tradizionale per la Sicilia, la cui politica comune della pesca (PCP) ha fatto seguito a quella agricola. La notizia delle sanzioni inflitte, nei giorni scorsi, ad un peschereccio appartenente alla flotta di Mazara del Vallo dal personale della Capitaneria di Porto di Portoferraio, su segnalazione degli ispettori dell’Agenzia Europea di Controllo della Pesca (EFCA), deve far riflettere. Al di là del fatto di cronaca, che ha visto protagonista il peschereccio intercettato dagli ispettori dell’Unione Europea in acque internazionali mentre esercitava attività di pesca a strascico con attrezzi vietati dalla normativa europea e nazionale, e, per questo, fatto rientrare nel porto elbano, emerge in tutta la sua drammaticità la precisa volontà comunitaria di portare al collasso il settore della pesca, vessato e condannato a lavorare sempre meno e nella disperazione. Leggiamo che l’operazione si inserisce nella logica volta a contrastare le attività illegali maggiormente impattanti sullo sforzo di pesca e sull’ambiente. Lo scopo comunitario è quello di garantire la tutela del consumatore, della concorrenza economica leale, lo sfruttamento sostenibile della risorsa ittica e la difesa dell’ambiente marino e della sua biodiversità. Tutti obiettivi assolutamente nobili. Peccato che a pagare per le infrazioni siano solo ed esclusivamente i pescatori siciliani che non sanno più come, dove e quando pescare, disorientati e sbaragliati da una tale politica. La disperazione è cattiva consigliera. Il tema centrale è che l’Unione Europea ha già da trent’anni deciso di cancellare l’attività di pesca delle flotte siciliane nel Mediterraneo. La messa a bando della pesca a strascico entro il 2030 è il colpo definitivo per operare la cancellazione di un mestiere millenario, che si aggiunge alle campagne di demolizione massiccia di natanti da pesca. Quale il nobile motivo? Secondo i vertici comunitari, le scelte vanno nella direzione di tutelare il consumatore, la concorrenza economica leale, lo sfruttamento sostenibile della risorsa ittica e la difesa dell’ambiente marino e della sua biodiversità. Ma com’è possibile continuare a credere a questo folle disegno che mira esclusivamente a favorire gli importatori, gli unici a fare affari grazie a queste scellerate scelte? Come si può credere alla tutela dei consumatori se il prodotto ittico catturato e lavorato dai siciliani è tracciato dal momento della cattura fino al consumo finale? La stessa cosa non è assolutamente valida per il pesce proveniente da altri luoghi per cui non si ha alcuna informazione sulla salubrità del pescato. E poi, come si può credere alla tutela e difesa dell’ambiente marino se tutte le flotte extracomunitarie operanti nel Mediterraneo fanno quello che vogliono e pescano tutto l’anno, anche negli areali dove dovrebbero pescare i siciliani, penalizzati dai vincoli alla pesca? Da decenni viene smantellato dalle istituzioni europee il settore della pesca nel Mediterraneo, nel silenzio assordante della politica italiana e della deputazione al parlamento europeo. Quindi, le ingenti risorse erogate dall’UE sono servite per modificare, ridurre, indirizzare le produzioni agricole e per debellare l’attività di pesca nel Mediterraneo e favorire le società di importazione di prodotti agricoli e ittici, riducendo sicurezza alimentare, la produttività agricola e della pesca, diminuendo l’occupazione. In pratica, fatte le norme per poi disapplicarle. Fissati i principi per poi aggirarli. Così facendo l’Unione Europea perde sempre più appeal nei confronti dei settori primari, vanto per stati come l’Italia, nella quale la Sicilia si distingue per capacità ed eccellenze. Cambierà qualcosa dopo le elezioni del prossimo giugno?