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Cultura

I SICANI – La lezione dimenticata di Tommaso Natale

di Redazione -





di MICHELE GELARDI – Tommaso Natale scrisse le sue “Riflessioni politiche intorno all’efficacia e necessità delle pene” nel 1759, cinque anni prima che Cesare Beccaria pubblicasse il celebre saggio “Dei delitti e delle pene”, divenuto il manifesto del pensiero illuminista e liberale. Il giureconsulto siciliano, marchese di Monterosato, anticipò e ispirò l’opera del Beccaria; ciò testimonia che la cultura giuridica siciliana fu all’avanguardia nell’epoca dell’illuminismo e per molti anni a venire. In qualche modo, tuttavia, rileggere le pagine del grande Tommaso Natale, mentre solletica il nostro orgoglio, facendoci sentire figli di una grande storia culturale e politica, induce al contempo sentimenti di rimpianto e melanconica frustrazione, perché inevitabilmente suggerisce una triste comparazione tra il passato e il presente. Non vorrei iscrivermi gratuitamente nel novero dei laudatores temporis acti, al quale volge l’età della canizie per sua stessa naturale vocazione, ma non posso fare a meno di osservare che il lascito culturale dell’illuminismo, che in misura rilevante ha contribuito a creare le premesse e le fondamenta del moderno assetto democratico, è stato dissipato nell’Italia di oggi, ma soprattutto in Sicilia, dove per certi versi pare obliato del tutto.

Uno dei cardini della civiltà giuridica occidentale, fondata sulla libertà e la democrazia, si può ravvisare nella distinzione, di derivazione illuministica, fra i tre ordini normativi – del diritto, della politica e della morale – tra loro comunicanti, ma non sovrapposti l’un l’altro. Questa distinzione era chiara a Tommaso Natale e traspare pressoché in tutte le sue pagine. Ciò che era chiaro nel ‘700 risulta torbido nell’odierno Stato, se non etico, tuttavia “eticheggiante”. Ogni giorno un legislatore infaticabile conia nuove fattispecie di reato (bis, ter, quater), per guidare il popolo dei sudditi al sommo bene (per esempio: aggravante di omofobia, islamofobia), nel mentre il diritto penale fa capolino nel dibattito politico, attraverso la dittatura del politicamente corretto. E la Sicilia, che conosce solo colori intensi e accesi, primeggia in questo particolare sport della criminalizzazione delle opinioni politiche. Purtroppo una certa lettura della parola “mafia”, traslata dalla letteratura narrativa alle aule dei tribunali, ha esteso a dismisura la configurabilità dei reati di “contiguità”, cosicché quella categoria ideale rischia di prendere un posto, nel panorama politico isolano, analogo a quello che la “corruzione” ha nei sistemi dispotici orientali, laddove gli oppositori del regime sono invariabilmente “corrotti”.

Pare infine che la nostra amata isola, avanguardia poliedrica nei variegati settori della cultura e dello scibile nel ‘700, oggi si sia rimpicciolita in una sola dimensione: mafia/antimafia; legalità/illegalità. A quella sola dimensione afferisce tutta la complessa dinamica dei tre ordini normativi, in una magma di confusione e commistione. Qui la delegittimazione dell’avversario politico percorre una strada agevole, spianata e collaudata: non si entra nel merito dei programmi politici, ma si ricorre alla polarità unidimensionale, che annulla tutte le altre manifestazioni dello spirito. Anche il grandissimo intellettuale Leonardo Sciascia, a ben vedere, peccò di riduzionismo, quando asserì che “il sicilianismo gratta gratta è mafia”, trascurando il fatto che i movimenti indipendentisti hanno avuto e hanno riconoscimento e dignità politica in tutti i Paesi, tanto più quando i confini geografici del territorio sono segnati dal mare. Nessuno si è sognato di “grattare” la pelle degli indipendentisti corsi o irlandesi o sudtirolesi o catalani o scozzesi o anche sardi; non si capisce perché si debba farlo in Sicilia e solo in Sicilia. E ovviamente riconoscere la legittimazione politica di tali movimenti è cosa ben diversa che appoggiare i loro programmi. Dopo 150 anni dall’unità d’Italia non ha senso l’indipendentismo, ma il pluralismo culturale e politico è una ricchezza da tutelare, nel rispetto della distinzione cara a Tommaso Natale. La Sicilia a una dimensione nuoce in primo luogo ai siciliani.