I SICANI – Enrico Mattei nella trappola di Usa e Cosa Nostra
di PASQUALE HAMEL
Il 27 ottobre del 1962, alle 19,08 una fiammata illuminò il cielo sopra Bescapè, piccolo comune in provincia di Pavia, e poco dopo si schiantava al suolo un piccolo bireattore Morane Salnier 760 dell’Agip, provocando la morte del pilota, Bertuzzi, del giornalista americano Mc Hale e di Enrico Mattei, comandante partigiano che, nel 1953, aveva promosso la costituzione dell’Ente nazionale idrocarburi. Enrico Mattei è stato uno dei personaggi più controversi che, nel dopoguerra, aveva fortemente influenzato la politica economica del Paese spingendo verso l’obiettivo, oggi di grande attualità in seguito alla crisi generata dalla guerra in Ucraina, dell’autonomia energetica. L’inchiesta che seguì al presunto incidente, condotta “in modo frettoloso e acritico dai magistrati dell’epoca” – così scrive Leonardo Agueci nell’introduzione al libro di Aldo Ferrara “Enrico Mattei. Il visionario” – fu chiusa con un’archiviazione accettando l’idea che si fosse trattato solo di un “tragico incidente” dovuto, insinuò allora il procuratore Eduardo Santachiara “ad eccessivo affaticamento del pilota”. Trent’anni più tardi, grazie all’impegno della Procura della Repubblica di Pavia, guidata dal procuratore Vincenzo Calia, che riaprì il relativo fascicolo queste conclusioni venivano rimesse in discussione pervenendo alla più realistica ipotesi che, nel cielo di Bescapè, si fosse consumato un attentato e che l’aereo sul quale viaggiava il presidente dell’Eni fosse esploso in volo a causa di una bomba collocata all’interno della carlinga. Un sabotaggio, dunque, il cui obiettivo probabilmente era proprio Enrico Mattei. Di quel sabotaggio sia i mandanti che i relativi esecutori, nonostante gli sforzi compiuti per pervenire alla verità, sono tuttavia finora rimasti sconosciuti. Mattei aveva molti nemici interni ed esterni e alcuni di questi si annidavano fra quanti non accettavano la deriva statalista che stava contraddistinguendo nel dopoguerra la ricostruzione del Paese, e degli statalisti proprio Mattei, che aveva una grossa influenza sui politici del tempo, appariva l’alfiere più autorevole. Ma i nemici di Mattei erano soprattutto esterni, le sue iniziative, soprattutto nel mondo arabo e i suoi rapporti, spesso condotte con grande spregiudicatezza, con esponenti dell’Unione Sovietica, si può bene dire che avessero “rotto le uova nel paniere” a chi non sopportava di avere pericolosi concorrenti capaci di destabilizzare un mercato, quello degli idrocarburi e del gas, che aveva consentito di realizzare fortune enormi. Il cartello di multinazionali petrolifere (americane, francesi, inglesi e olandesi), le famose “sette sorelle” – così le ebbe a definire lo stesso Mattei -che fino ad allora aveva egemonizzato il relativo mercato, saccheggiando in modo indecoroso le risorse di paesi nei quali era in corso la decolonizzazione non accettava infatti quella che considerava, a torto o a ragione, una concorrenza sleale. Per questo motivo Mattei non era sicuramente amato tanto da venire assimilato addirittura ad un “pericoloso comunista” che non faceva sicuramente gli interessi dell’Occidente. Non sorprende dunque che qualche giorno prima della morte, il New York Times lo degradasse ad “un barone imbroglione del diciannovesimo secolo”. Che fosse in pericolo Mattei, era pienamente consapevole, già l’OAS molto attiva in Algeria per contrastare il locale Fronte di liberazione nazionale, in combutta con i servizi francesi, non si era fatta scrupolo di additarlo come un probabile obiettivo di un’azione terroristica mentre altre minacce gli erano giunte proprio dai suoi concorrenti. Non è un caso che, considerato il clima pesante che si addensava attorno alla sua figura, Mattei non si fidasse nemmeno della scorta che gli avrebbe offerto la sicurezza nazionale e che, invece, si fosse dotato di una scorta personale della quale faceva parte un ex suo compagno di guerra partigiana. Nonostante le precauzioni, non riuscì a sfuggire ai suoi nemici. Nelle indagini che seguirono confortate dalle dichiarazioni dei pentiti, pare che un ruolo importante nell’eliminazione di Mattei, lo ebbe sicuramente la mafia forse come diretta esecutrice dell’attentato. Peraltro, l’aereo era partito dalla Sicilia, precisamente dall’aeroporto di Catania, Mattei era stato infatti, nella mattinata a Gagliano Castelferrato, dove l’Eni aveva scoperto un importante giacimento di gas metano, per incontrare la popolazione e, in quell’occasione, aveva arringato la folla promettendo, grazie alle risorse scoperte, un futuro diverso e certamente migliore. La partecipazione della mafia verrà fra l’altro testimoniata dal collaboratore di giustizia Maurizio Avola, il quale confermava che “a mettere la bomba sull’aereo di Mattei erano stati i mafiosi Francesco Mangione e Nitto Santapaola, su richiesta di Cosa Nostra americana”. Le conseguenze della morte di Mattei pesarono sul futuro del Paese e dell’Ente che aveva costruito, molti progetti ambiziosi, vennero accantonati facendo così tirare un sospiro di sollievo ai suoi nemici.