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Agricoltura

PRIMA PAGINA- Sicilia assetata: in gioco le risorse tra turismo e agricoltura

di Redazione -





di ANGELO VITALE
Acqua per i cittadini e per le strutture turistiche o per i campi? Nell’ultima settimana, la temperatura globale appare essersi adeguata alla stagione. Ciò nonostante, in continuità con gli undici che lo hanno preceduto, il mese di aprile si caratterizzerà come quello più caldo della storia, analogamente a quanto sta accadendo da oltre un anno per i mari.
In un Mezzogiorno che ha sete, la questione siccità per la Sicilia non è da mesi una novità. E l’ultimo allarme dell’Osservatorio Risorse idriche della Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue interviene a richiamare le tappe più gravose della drammatica situazione idrica dell’isola. Sono quasi vuoti i bacini di Disueri, Comunelli e Cimia, in provincia di Caltanissetta, che trattengono volumi d’acqua inferiori al milione di metri cubi.
Nonostante una timida ripresa, servita ad acquisire poco più di 13 milioni di metri cubi in un mese, negli invasi siciliani mancano complessivamente circa 670 milioni di metri cubi d’acqua. Un deficit che pesa negativamente per il 68%, ma soprattutto il livello è misurato 145 milioni sotto al precedente record negativo, registrato nel siccitoso 2017.
Secondo il Sias, il Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano, dal mese di settembre dello scorso anno il deficit pluviometrico medio sulla regione si aggira sui 300 millimetri, con punte arrivate a 350 sulla provincia di Catania. Numeri che significano che l’apporto d’acqua nei mesi tradizionalmente più piovosi, da settembre ad aprile, si è praticamente dimezzato rispetto alla media storica di 620 millimetri. Il mese di marzo sull’isola è stato estremamente siccitoso per le province centrali e soprattutto per quelle sud-orientali, dove le cumulate registrate sono state tra il 70% ed il 90% inferiori alla norma in buona parte dei comuni tra le province di Catania, Siracusa, Enna e Caltanissetta.
“Di fronte a questa situazione – afferma il presidente dell’Anbi, Francesco Vincenzi -, la risposta non può limitarsi alla dichiarazione dello stato d’emergenza, ma abbisogna di interventi strutturali”. “La ricetta è sempre la stessa – ribadisce -: completamento degli schemi idrici, manutenzione straordinaria degli invasi, ritorno all’ordinaria amministrazione dei Consorzi di bonifica secondo i principi di autogoverno e sussidiarietà, dopo decenni di malgoverno commissariale”.
Rivoluzione attesa da anni, dopo i riordini degli anni passati che erano serviti solo a moltiplicare i Consorzi. E che pure era sperata nelle ultime settimane, prima della bufera giudiziaria che ha investito il vice del governatore Renato Schifani, Luca Sammartino, sospendendolo dalla delega all’Agricoltura ora nelle mani del presidente nonostante il pressing politico che lo invita ad assegnarla per accelerare le iniziative rimaste al palo.
Sul dilemma che ogni anno impegna i vertici regionali interviene pure il dg di Anbi, Massimo Gargano: “Considerate le attuali condizioni climatiche e con una stagione turistica avviata, sarà sempre più difficile conciliare le destinazioni idriche per usi potabili ed agricoli con scontate, pesanti conseguenze per il settore che è eccellenza del made in Italy. Lo sconcerto deriva dal periodico ripetersi dell’emergenza in una situazione infrastrutturale, priva delle necessarie scelte politiche”.
Frammentaria la situazione delle 25 dighe, gestite da soggetti pubblici e privati. Gran parte, 16, in capo al Dipartimento acqua e rifiuti della Regione: Scanzano, Poma, Arancio, Nicoletti, Santa Rosalia, Trinità, Rubino, Comunelli, Cimia, Disueri, Castello, Olivo, San Giovanni, Gorgo Lago, Rosamarina, Lentini. Due, Garcia e Ogliastro, gestite dal Consorzio di bonifica Palermo e da quello di Caltagirone. E due, Fanaco e Leone, nel pacchetto di controllo di Siciliacque S.p.A., partecipata al 75% cento da Idrosicilia e al 25% dalla Regione Siciliana.