Omicidio Taormina, l’inchiesta si infittisce: dalle “avances” sui social all’ipotesi dell’agguato
PALERMO – L’omicidio di Paolo Taormina, il ventenne ucciso nella notte tra sabato e domenica in via Spinuzza, nel cuore della movida palermitana, continua a scuotere la città e ad alimentare interrogativi inquietanti. Nonostante la confessione di Gaetano Maranzano, 29 anni, i carabinieri e la Procura vogliono vederci chiaro. Perché dietro quel colpo alla nuca – sparato a bruciapelo dopo una lite apparentemente banale – potrebbe celarsi qualcosa di molto più oscuro: un piano studiato, forse un vero e proprio agguato.
Le “avances” e il presunto rancore
Maranzano ha raccontato ai magistrati Maurizio Bonaccorso e Ornella Di Rienzo che Taormina avrebbe rivolto, mesi fa, apprezzamenti e messaggi sui social alla sua compagna. Un episodio che, secondo il killer, avrebbe scatenato la rabbia e alimentato la vendetta. Ma la versione, ancora tutta da verificare, poggia su sabbie mobili: i messaggi, dice, sarebbero stati cancellati. Un dettaglio che rende la ricostruzione più simile a una giustificazione a posteriori che a un vero movente.
Il film della notte
Le immagini delle telecamere raccontano una sequenza di pochi, terribili secondi: Taormina esce dal locale di famiglia, “O Scruscio”, per sedare una lite tra alcuni ragazzi dello Zen. In quell’istante viene colpito alla testa con una bottiglia di vetro. Poi, il gesto finale: Maranzano che impugna una pistola e spara alla nuca. Un’esecuzione fredda, rapida, che contraddice la tesi dell’impeto.
Dopo il delitto, il gruppo si dilegua. Prima a piedi, poi in auto verso lo Zen. Le telecamere ne immortalano il passaggio in via Niscemi. A tradire l’assassino, oltre ai filmati, sono stati gli abiti sequestrati e gli accessori ostentati sui social: collane d’oro, ciondoli a forma di pistola, simboli di una subcultura criminale esibita come status.
Il contorno e i silenzi
Maranzano ha confessato, ma non ha fatto nomi. Eppure, accanto a lui quella notte c’erano almeno tre complici, uno dei quali avrebbe colpito Taormina con la bottiglia prima del colpo fatale. Gli inquirenti del Nucleo Investigativo stanno vagliando celle telefoniche, testimonianze e altri filmati per dare un volto a tutti i presenti.
Nel frattempo, la famiglia di Paolo vive l’incubo della perdita e della rabbia. La sorella Sofia ha raccontato:
“Lo conoscevamo di vista, aveva sempre quelle collane d’oro e l’aria da bulletto. Ha puntato la pistola alla testa di mio fratello, poi contro di me”.
Parole che restituiscono il dramma e la brutalità di un gesto senza senso.
Il nodo del movente
La Procura non esclude che la lite di sabato notte sia stata solo un pretesto. Forse, chi ha premuto il grilletto aveva già deciso di farlo. Le “avances” potrebbero essere un alibi costruito a posteriori, un tentativo di dare una parvenza di onore a un delitto nato da prevaricazione e arroganza.
La città ferita
Intanto Palermo si interroga. L’omicidio di Paolo Taormina, giovane benvoluto, educato, che aiutava la famiglia nel locale, è diventato il simbolo di un disagio profondo: quello di una città dove la violenza si mescola al vuoto di valori, dove l’orgoglio e la vendetta sostituiscono il dialogo e il rispetto.
Mercoledì il presidente della Regione Renato Schifani incontrerà a Roma il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sindaco Roberto Lagalla per affrontare l’allarme sicurezza esploso dopo l’ennesima tragedia.
La camera ardente sarà allestita al PalaOreto, dove Palermo potrà dare l’ultimo saluto a Paolo. Un ragazzo che, quella notte, voleva solo riportare la calma. E ha trovato la morte in una città che, ancora una volta, deve guardarsi allo specchio.
