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Politica

Il ritorno al passato delle province spogliate e mai sparite 

di Salvatore Cannata -





Nove anni. Ma se tutto va bene, saranno 10. Tanti ne passeranno da una delle riforme più fallimentari che storia della Sicilia ricordi: quella della cancellazione delle province. Ex province, oggi Liberi consorzi comunali o Città Metropolitane nel caso di Palermo, Catania e Messina. Cancellarle voleva Rosario Crocetta. Alla fine, invece, le ha solo un po’ neutralizzate. Spogliate. Ma non cancellate, non sono sparite. Sono lì vive anche se poco vegete. Non in coma ma neppure in formissima.

Nove anni fa, Rosario Crocetta, e il suo governo di centrosinistra, le ha svuotate, private di poteri e di capacità d’azione. Ma non sono sparite perché quella riforma aveva zero gambe per camminare e, infatti, s’è trascinata fra commissariamenti, annunci di elezioni di secondo livello mai avvenute e tanta approssimazione e pressapochismo. Già con il governo di Nello Musumeci (che di una provincia, quella di Catania, è stato presidente), s’era capito che bisognava fare qualcosa per rimediare a quell’assurda scelta di Crocetta, populista ma completamente sbagliata.

Perché la verità è che le ex province regionali siciliane, non hanno mai perso le competenze di cui erano, come enti intermedi, dotati ma sono state svuotate nelle casse, perdendo i soldi per poter esercitare. Crocetta insomma, nel 2014, con la sua legge regionale, avrebbe voluto abolirle sostituendole con liberi consorzi di comuni e città metropolitane – enti di secondo grado – ma, nei fatti, ha lasciato tutto a metà. Che è poi stata una marcata caratteristica dei suoi cinque dimenticabilissimi anni di governo… Perché la sua idea di far eleggere gli esecutivi di questi “aborti istituzionali” non dai cittadini ma dagli amministratori dei comuni che li compongono, è naufragata. Subito. La verità, e che la legge siciliana ha solo modificato il nome delle provincie ma ha lasciato immutati l’ambito territoriale e le dotazioni di personale e di risorse, rimandando a successivi e mai attuati provvedimenti l’individuazione delle entrate necessarie a sostenere le nuove competenze. Una fallimentare avveniristica opera di ingegneria istituzionale, incentrata sullo sbandierato taglio dei costi della politica e la sostituzione di enti ritenuti obsoleti e inefficienti e che, alla fine, è stata solo fumo negli occhi, propaganda di basso cabotaggio e il nulla cosmico.

Se è vero che il prossimo giugno, finalmente, si andranno ad eleggere presidente e consiglio, lo faranno direttamente i cittadini (si chiamano Elezioni di Primo livello e sono l’essenza della democrazia compiuta). Si chiuderà una pagina istituzionale da cancellare, dopo 10 anni di enti amministrati da commissari regionali, svuotati di fondi sufficienti per pagare la manutenzione ordinaria di scuole e strade, i servizi per gli alunni con handicap e i progetti per lo sviluppo locale, talvolta neppure in grado di predisporre il bilancio previsionale, pronti a vendere i gioielli di famiglia (anzi anche a venderli), in braghe di tela (l’ex provincia di Siracusa 5 anni fa dichiarò il dissesto). Giovedì, c’è stata l’audizione in prima commissione all’ARS, presieduta dall’onorevole, Ignazio Abbate, dell’assessore regionale alle Autonomie, Andrea Messina e del dirigente generale del Dipartimento regionale delle Autonomie locali, Andrea Messina (come riportato nel nostro giornale di venerdì scorso) e lì si è finalmente messa la pietra miliare verso il voto della prossima primavera.

Perché entro stasera sarà possibile presentare gli emendamenti esclusivamente correttivi, per la messa in opera del provvedimento, che non avranno rilevanza economica e che si tradurranno in semplici puntualizzazioni e poi mancherà solo il voto finale prima che la legge comincia a viaggiare verso Sala d’Ercole. Non sarà un viaggio lungo ma breve. Il giusto. Dopo l’approvazione della Legge Finanziaria, si avrà il decisivo allungo verso il ritorno delle Province Regionali. Dei nove enti che comunque, nel corso degli anni che furono, hanno sempre rappresentato un punto di riferimento, furono nella stragrande maggioranza enti sani e ben gestiti e, soprattutto, valori per i comuni che hanno trovato lì quelle risposte che non riuscivano a dare alla gente. “Inutile e dannosa”. Così da più parti e nel corso di questi 9, abbondanti anni, è stata definita la riforma di Crocetta.

Lo scorso fine settimana, la Regione ha trovato i soldi per rimettere in moto quella macchina colpevolmente spenta. Adesso ci si adoperi ad avere le risorse economiche necessarie per preparare una legge per il voto provinciale che non sia nuovamente bocciata come è successo qualche mese fa e si vada a votare. Perché si è già perso troppo tempo sulla questione a danno solo della Sicilia.