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Il ricordo di Antonia Brancati: Zafferana, la parola e quel ponte fra il passato e il presente

di Redazione -





“La parola serve per dare dei segni”. Sono state queste alcune delle riflessioni che Antonia Brancati, figlia del grande scrittore, sceneggiatore e drammaturgo siciliano, Vitaliano, ha condiviso con il pubblico di Zafferana Etnea in occasione del premio letterario Brancati, che quest’anno ha compiuto 50 anni. In un connubio di creatività e istituzionalità, Antonia ha parlato del valore della letteratura e dell’eredità paterna, tessendo un dialogo tra il passato e il presente letterario: “Mi fa molto piacere essere a Zafferana Etnea, dove mio padre ha scritto alcune delle sue opere più significative” ha iniziato, evocando l’intimo rapporto tra il luogo e l’ispirazione letteraria. Questa affermazione ha aperto le porte a un viaggio nel cuore dell’opera dello scrittore originario di Pachino, esplorando le sfaccettature di una narrazione che ha segnato la letteratura italiana. Riflettendo sulla natura delle storie e sul loro sviluppo, Antonia ha citato Jon Tobasi e William Foster Harris, sottolineando come le trame narrative siano un tessuto complesso e variegato, che soprattutto per Harris sono di 3 tipi: lieto fine, triste fine e tragedia. Il lieto fine comincia con una serie di guai che finiscono bene; il triste fine con cose che iniziano bene e poi finiscono malissimo; la tragedia comincia triste e va a ritroso verso un finale ancora peggiore. Da qui in poi, è stato approfondito il tema delle trame nella letteratura, menzionando “Il bell’Antonio” come esempio emblematico dell’opera di suo padre, dove l’incapacità di amare diventa la trama portante che guida il destino del protagonista verso la rovina. Don Giovanni, leitmotiv nelle opere di Vitaliano, che reinterpreta questo archetipo in diverse forme: “Le trame sono sempre qualcosa che porta a qualcos’altro e le storie che si possono creare sono infinite, nella mitologia greca Narciso, nel dramma Ippolito, per citarne alcuni. Per mio padre Don Giovanni è stato un’ispirazione declinata in una serie di narrazioni diverse: dal Don Giovanni in teatro al Don Giovanni in Sicilia divertente e allegro. E il bell’Antonio non è altro che una tragicommedia”. Rivolgendosi alla questione dei finali nelle opere letterarie, Antonia ha evocato il pensiero di Umberto Eco: “La funzione dei racconti è immodificabile, contro ogni nostro desiderio di cambiare il destino ci fanno toccare con mano l’impossibilità di cambiarlo, i racconti già fatti ci assegnano anche a morire, credo che questa educazione al fato e alla morte sia una funzione principale della letteratura”. Secondo Antonia Brancati, infatti, si può riscrivere la storia a modo nostro; ma se deriviamo la storia da una storia che è già scritta non possiamo fare dei cambiamenti troppo clamorosi. Il ricordo personale di suo padre, ha aggiunto una dimensione intima all’incontro: “Ricordo che scriveva vestito con il suo principe di Galles sui toni di grigio o con una giacca di casa di cammello e risvolti a scacchi al leggio con la sua penna per me era una cosa meravigliosa, era un mestiere stupendo. Per lui la parola era importantissima; ce l’abbiamo anche nel Vangelo dove c’è scritto in principio era il verbo. Mio padre riempie di segni tutte le parole. Ad esempio nel bell’Antonio troviamo i segni più disparati: nella scena del matrimonio tra Antonio e Barbara c’è la paura di Antonio, il pazzo che gira e salta, quello che dice scoppierà la guerra; la ragazza che tira fuori la pistola e la borsa. E’ una grande esaltazione, felicità e disastro ma ci dà i segni tutti insieme senza dirci che andrà a finire malissimo. La parola del resto è uno strumento fondamentale per dare segni e significati”. La serata a Zafferana Etnea, dunque, non è stata solo un omaggio alla figura di Vitaliano Brancati ma anche un’occasione per riflettere sul potere della narrativa e sul ruolo che questa gioca nell’interpretazione della realtà e della storia umana, attraverso gli occhi e le parole di Antonia Brancati.