Leggi:

Attualità

A casa i lavoratori di Almaviva: “Noi precari del Covid”

di Redazione -





Sedotti e abbandonati o meglio, sfruttati e abbandonati. Le vittime del Covid non sono soltanto i pazienti che, ancora oggi, continuano ad essere colpiti dalla malattia.

Ci sono anche vittime che non hanno bisogno delle cure ospedaliere o del supporto medico. Sono vittime spesso invisibili e sono davvero tante. Si tratta di tutti quei lavoratori precari che hanno trovato un impiego durante l’emergenza. Tante, tantissime persone che, ormai, hanno preso il nome di “precari del Covid”. E se qualcuno pensa che la questione sia circoscritta alle professioni sanitarie, si sbaglia di grosso. I precari del Covid sono ovunque. Anche nei call center, dove peraltro di precari non ne mancavano anche prima della pandemia. E, infatti, nella storia che vi raccontiamo oggi le due cose si mescolano pericolosamente e ai lavoratori non rimane che scendere in strada per provare a far sentire la propria voce. Stiamo parlando dei dipendenti di Almaviva Contact SPA che con striscioni e megafoni hanno gridato al mondo o, almeno, alla città di Catania di essere prossimi al licenziamento. “Dopo 20 anni di lavoro per Almaviva, dal primo gennaio saremo licenziati senza nessuna clausola sociale”.

Questa la scritta stampata sul grande striscione che i lavoratori hanno esposto in via Etnea, proprio all’angolo con via Prefettura, luogo scelto storicamente per le proteste di ogni genere. Sono 621 il numero totale degli esuberi in Sicilia, di cui 161 a Catania. Persone e famiglie che senza facile retorica è possibile definire delle vere e proprie vittime del Covid, e in questo caso della fine del Covid. Si perché le persone che perderanno il posto all’inizio nel 2024 sono quelle che lavoravano rispondendo da Catania, Palermo, Milano, Napoli, e Rende alle chiamate che moltissimi italiani effettuavano al numero 1500. Si tratta del servizio di utilità pubblica del Ministero della Salute, istituito nel 2020 durante la pandemia per fornire agli italiani tutte le risposte necessarie a fronteggiare l’ondata covid che, in quel periodo, ha sconquassato l’Italia. Un numero che, poi, ha continuato ad esistere anche per fornire risposte su vaccinazioni e più in generale su questioni relative all’ambito sanitario.

Un servizio che, a partire dal primo gennaio 2024, dovrebbe cessare di esistere definitivamente. Ma per capire meglio la genesi del problema e della protesta catanese è meglio affidarsi al racconto dettagliato di una lavoratrice, Isabella Cassibba: “Noi lavoriamo per una società che è in outsourcing – la scelta di un’impresa di affidare all’esterno lo svolgimento di un processo produttivo o di una o più parti dello stesso che prima venivano svolte all’interno di essa – e che aveva diverse commesse di cui le ultime partivano da una grande società come la Vodafone. In particolare nel periodo della pandemia il Ministero della Salute gli ha affidato una commessa importantissima, quella legata al numero per ricevere tutte le informazioni sul Covid, commessa che si svolgeva nella città di Palermo, ma che non poteva essere fronteggiata solo dai lavoratori palermitani. Come avviene nel calciomercato siamo stati presi in prestito e ci hanno passato a quel servizio, con la promessa che ci avrebbero riportati, al momento della conclusione, a svolgere quello che era il nostro servizio di appartenenza”.

Tutte promesse e assicurazioni che, come spesso avviene, sono risultate vane. Il calvario dei lavoratori comincia nel mese di marzo dell’anno scorso, quindi del 2022. I lavoratori vengono posti in cassa integrazione al 75%; passano alcuni mesi e a dicembre si ritorna al 100%. Non è finita: a ottobre di quest’anno i lavoratori vengono nuovamente messi in cassa integrazione al 75%. Preludio questo alla notizia che ha mandato nello sconforto numerose persone e le famiglie a loro legate: il servizio non sarà più strutturale. Ovvero fine dei giochi. “Ci sentiamo abbandonati dalla stato, perché è per lo stato che abbiamo lavorato ed è lo stato che abbiamo servito in questi mesi così delicati” continua, sconfortata, la lavoratrice Almaviva. Uno stato che sembra aver voltato le spalle a queste persone che, adesso, per poter guardare con un briciolo di speranza al futuro devono rivolgere lo sguardo verso la regione siciliana. Come confermano i lavoratori, infatti, ribadendo di non “essere numeri, ma persone”, un lumicino di speranza arriva dalla Regione che avrebbe deciso di farsi carico di queste persone organizzando dei corsi Anpal. Quest’ultimi hanno, anzi è meglio dire avrebbero, lo scopo di riqualificare le persone al lavoro, ma che purtroppo non di rado diventano solo uno specchio per le allodole.