Coffee Festival, a Palermo piantagione sperimentale di caffé
di ANTONIO SCHEMBRI
È la bevanda più consumata al mondo e il secondo prodotto più scambiato sul mercato delle Borse Merci. Nel Belpaese, ogni giorno, tra bar e abitazioni, se ne bevono 95 milioni di tazzine, più di una e mezza a testa in media. Numeri che confermano quanto il caffè sia una parte irrinunciabile della nostra vita.
Altro tema è la reale conoscenza della bevanda densa e scura, oppure, a seconda dei casi, dalla consistenza acquosa e leggera, con nuance dal beige al marrone. Scala cromatica, questa, in cui, come insegnano a Napoli, si individua il colore di un caffè come si deve: per esempio quel marrone a ‘manto di monaco” che tanto deliziava Eduardo de Filippo in un suo famoso monologo nel quale impartiva i dettami sulla sua corretta preparazione.
Un rito, una tradizione, che vede l’Italia al decimo posto nel mondo per consumi pro capite. Soprattutto un settore che ha molte somiglianze con quello del vino, non foss’altro perché ruota attorno al seme del frutto di una pianta.
A differenza del vino, però, del caffè si conosce ancora poco. Né delle 4 differenti varietà: Arabica, Robusta, Excelsa e Liberica. Né la storia, i territori delle piantagioni e le problematiche climatiche, economiche e sociali che permeano gli ambienti in cui le compagnie del caffè operano. Ovvero quelli inclusi nella cosiddetta coffee belt, la cintura geografica delimitata dai due Tropici con paesi come Brasile, Vietnam, Colombia e Indonesia, a fare da traino, seguiti da Messico, Guatemala, Honduras, Perù, Etiopia, Kenya e India.
Sebbene la complessità del caffè poggi anzitutto sulla storia ultrasecolare delle sue piantagioni e su quella del suo utilizzo, cominciato a diffondersi come bevanda rinvigorente nella penisola arabica in relazione al divieto islamico di bere alcolici, resta però uno dei prodotti agricoli più indifferenziati, proprio perché svalorizzati. Lo conferma il suo prezzo al bar, tra 1 e 1,20 euro, che non individua certo le diverse tipologie di caffè, tostate da produttori differenti, che possono ritrovarsi nei 7 centilitri di un espresso o nei meno di 3, mescolati con i 10 centilitri di latte e schiuma, del cappuccino.
“Tutto ciò che determina il prodotto finale comincia in piantagione, dalla modalità di raccolta, esclusivamente manuale, delle chicchi maturi dalla pianta. Una garanzia di qualità in sé, questa, che si traduce in esperienze sensoriali diverse a seconda dei paesi di provenienza del caffé”, spiega Stefania Zecchi coordinatrice per l’Italia della Specialty Coffee Association, compagine internazionale con sede a Londra per la divulgazione della cultura del caffè, in particolare dei prodotti dalla qualità più alta. Gli ‘specialty’ rappresentano infatti l’eccellenza pura, del caffè, basata sui raccolti dei chicchi di Arabica, la preferita tra le piante del caffè in quanto cresce in altura, a temperature più fresche, che scendono molto durante la notte e non la obbligano a difendersi dagli attacchi di agenti patogeni legati al calore mediante la caffeina, alcaloide prodotto in quantità ben più basse rispetto alle piante di pianura.
Proprio gli specialty coffee sono stati il focus del Palermo Coffee Festival, evento di promozione unico in Italia, giunto sabato scorso alla seconda edizione dentro una cornice, anche questa, speciale: quella dell’Orto Botanico, con i suoi 10 ettari e 12mila specie vegetali uno dei parchi urbani naturali più ampi e ricchi d’Europa.
Una scelta non casuale, quella adottata dal Sistema museale dell’ateneo palermitano, che lo gestisce e da CoopCulture.
È qui, infatti, che il caffè, pianta tropicale di sottobosco, è tornato protagonista con un campo sperimentale di 300 metri quadrati a pochi passi dalla storica Serra Carolina. Uno spazio nel quale stanno crescendo in piena aria 25 piante di Coffea arabica di 6 diverse varietà.
L’iniziativa si deve alla collaborazione tra la direzione dell’Orto Botanico e la Torrefazione Morettino, una delle più antiche aziende palermitane di questo settore, che oggi in Sicilia ne conta almeno una novantina. E si pone in continuità con il progetto di coltivazione di caffè nativo siciliano avviato 30 anni fa Arturo Morettino, sempre in collaborazione con l’Orto Botanico e il Dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Forestali dell’Università di Palermo, negli spazi di proprietà aziendale ubicati nel quartiere di San Lorenzo ai Colli.
Il campo sperimentale di caffè dell’Orto Botanico ha per adesso solo uno scopo didattico-divulgativo: “Ma – dice Andrea Morettino, quarta generazione della famiglia di torrefattori palermitani – ha anche un forte valore simbolico e di attualità. Sempre qui all’Orto Botanico, infatti, 120 anni fa si provò a far attecchire decine di piante di caffè che però vennero distrutte da una serie di gelate invernali: allora, come oggi, si trattò del primo e unico esempio di campo attivato al di fuori della larga porzione del Globo caratterizzata dall’avvicendarsi di due sole stagioni, la secca e la umida”.
La pianta del caffè è oggi un prezioso indicatore del cambiamento climatico. Uno scenario – sottolineano alla Torrefazione Morettino – nel quale un percorso di rigenerazione vegetale come questo potrebbe dare, nel medio-lungo periodo, segnali preziosi su possibili percorsi produttivi e commerciali di un caffè prodotto al centro del Mediterraneo, interamente made in Sicily.
Del resto tra i viali dell’Orto Botanico, accanto ai circa 50 espositori selezionati tra le migliori micro roastery d’Italia, (affiancate da aziende vinicole siciliane, produttori di olio Evo, artigiani di farine da grani antichi, nonché da coltivatori di piante aromatiche officinali), si contavano anche aziende specializzate nella produzione di frutti tropicali. Settore, quest’ultimo, in forte evoluzione in Sicilia e ‘termometro’ di temperature medie più alte rispetto ai passati decenni.
Dice Andrej Godina, tra i massimi esperti di Specialty Coffee in Italia, intervenuto a due delle masterclass in programma nel Coffee Festival palermitano: “Da dieci anni sono contitolare di una piantagione in Honduras, una delle terre in cui il caffè prospera e in questo periodo l’intensità delle piogge è cambiata molto: prima erano diluite e costanti nel tempo, adesso arrivano con intensi acquazzoni che si alternano a altrettanto impattanti periodi di siccità, con conseguenti problemi di irrigazione nei campi”.
Lungi dall’arrivare a caratterizzarsi con due sole stagioni, “il riscaldamento del clima nell’area mediterranea – spiega Godina- sta aprendo nuove opportunità per produzioni di frutti tropicali come la banana, il mango, l’avocado che, specialmente qui in Sicilia, potrebbero sostanziarsi in futuro anche in piantagioni di caffè, non certo estensive però, come avviene nei territori della Coffee Belt”. Anche perché – continua l’assaggiatore triestino, autore insieme con Mauro Illiano della Guida dei caffè e delle Torrefazioni d’Italia, – “la principale problematica di una coltivazione di caffè sono i costi di produzione relativi alla raccolta del frutto: niente di simile con gli altri frutti tropicali che richiedono una limitata manodopera, ma un lavoro manuale, quindi da remunerare adeguatamente, che va correlato con la resa annua di una singola pianta di caffè, pari ad un solo chilo di chicchi all’anno: una produzione che potrebbe essere portata al massimo a tre raccolti annui con ingenti irrigazioni e fertilizzazioni. E quindi costi ancora più pesanti”.
Chissà se un giorno le colture estensive del caffè verranno praticate al di fuori della Coffee Belt. Se così fosse sarebbe la fotografia del definitivo sconvolgimento del clima nel nostro pianeta – considera Davide Cobelli, uno dei 6 coordinatori italiani della Specialty Coffee Associacion.
Scenari preoccupanti, o terrificanti, a parte, come sottolineato nell’evento palermitano il caffè va conosciuto e valorizzato. Nel mondo, per l’80% del suo utilizzo il caffè viene abbinato al latte, cominciando dal cappuccino; solo in Italia, la percentuale è inversa in favore del classico espresso al bar o erogato dalla moka oppure dalle macchinette per cialde o capsule. “Il fatto è che ancora, nella comune percezione, un caffè è solo un caffè – riprende Cobelli -. Mentre invece si tratta, come per il vino e per l’olio, di un prodotto di filiera che merita lo stesso rispetto nel suo tragitto che dal contadino arriva alla tazza”. Qualità tracciabilità e sostenibilità è insomma il trinomio che si esprime in esperienze sensoriali diverse a seconda dei paesi di provenienza del caffè. “Un mondo sofisticato e complesso che cerchiamo di far conoscere anche attraverso gare di caffetteria a livello nazionale e a strumenti che facilitano l’orientamento degli appassionati, non solo esperti di settore. Uno di questi è la Flavor Wheel, la ruota degli aromi del caffé, nel quale partendo da macro categorie del sapore del caffè, è possibile individuarne altre molto più peculiari”. Uno strumento, questo, nato per creare un vocabolario comune del caffè. “Oggi – conclude Zecchi – disponiamo di 110 vocaboli per descriverne 1.500 profili aromatici diversi”.