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Cronaca

Fiaccole e lacrime per Paolo Taormina: “Non vogliamo più vedere i nostri figli dentro una bara”

di Andrea Scarso -





Omicidio Paolo Taormina – Palermo, adesso basta. Non è più tempo di silenzi né di alibi. Due mila persone hanno marciato in silenzio, in una sera che profumava di rabbia e dolore, dal Politeama fino al Teatro Massimo. Fiaccole accese, volti bagnati di lacrime, lo sguardo smarrito di una città che non riesce più a riconoscersi. Davanti al locale dove Paolo Taormina è stato ucciso, qualcuno ha lasciato un fiore. Un gesto semplice, ma dal peso insopportabile.

All’inizio del corteo, il sindaco Lagalla ha accarezzato la madre di Paolo: «So che non glielo restituirà nessuno». Parole sincere, ma subito dopo la folla si è spaccata, esplodendo in un grido di esasperazione: “Vattene!”. Perché la pazienza di Palermo è finita.

Sul palco hanno parlato i familiari di altri giovani uccisi nelle notti della movida: da Terrasini a Monreale. Ogni voce era una ferita, ogni parola un pugno nello stomaco. Palermo ha pianto insieme a loro, ma dentro quel pianto si è mescolata la rabbia di chi non accetta più di vivere nella paura.

Palermo, la città prigioniera

È inutile fingere: Palermo è ostaggio di un’emergenza che nessuno vuole davvero nominare. La chiamano “insicurezza”, ma il termine è troppo debole. È una guerra silenziosa, combattuta nelle strade, nei vicoli, nei locali notturni. I palermitani la conoscono bene: “Fino al Politeama, poi basta. Dopo il Massimo, è un altro mondo.” Una frase che fotografa il confine invisibile tra normalità e degrado.

Ogni fine settimana, lo stesso copione: risse, coltelli, pistole, vite spezzate. E la mattina dopo, la città si sveglia più vecchia, più spenta, più rassegnata.

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