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Case per la prostituzione e “servizi extra” a pagamento. Quattro indagati nell’operazione dei Carabinieri di Agrigento, tra Licata e Catania

di Francesca Gallo -





L’operazione dei Carabinieri della Sezione Operativa della Compagnia di Licata, avviata con il supporto dei colleghi della Compagnia di Catania Piazza Dante, inizia all’alba di oggi. I militari dell’Arma hanno proceduto all’esecuzione di un’ordinanza di misura cautelare personale emessa dal G.I.P. del Tribunale di Agrigento su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di tre uomini licatesi e una donna di origine domenicana. I quattro sono ritenuti gravemente indiziati dei reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione ai danni di donne straniere.

L’intervento odierno fa seguito ad oltre un anno di attività investigativa. Tutto parte dall’ottobre 2024. È allora che gli investigatori della Compagnia di Licata iniziano a monitorare una serie di movimenti sospetti: telefoni che si accendono e si spengono, passaggi in auto a orari insoliti, annunci pubblicati e rimossi nel giro di poche ore. Indizi minimi, ma ripetuti. Abbastanza da meritare un approfondimento.

Quella che all’inizio sembra un’attività occasionale si rivela presto un meccanismo più rodato. A settembre la Procura della Repubblica di Agrigento ha già davanti un quadro quasi completo, intuisce che si potrebbe trattare di una rete ben articolata, composta da tre uomini licatesi e una donna di origine domenicana, collegati tra loro e, secondo gli inquirenti, impegnati nello sfruttamento di più donne extracomunitarie.  Un intreccio di persone diverse, ruoli complementari, un flusso costante di denaro che gira attorno a tre appartamenti trasformati in punti di riferimento per l’attività di prostituzione.

Gli immobili — sottoposti a sequestro lo scorso 22 ottobre — non erano soltanto luoghi fisici. Erano il punto terminale di un sistema che le investigazioni hanno ricostruito con intercettazioni telefoniche, videosorveglianza, pedinamenti e l’analisi dei portali dedicati agli incontri. Da qui emerge un modello ripetuto. Le donne venivano accompagnate, indirizzate, spesso controllate a distanza attraverso semplici telefonate, e ogni servizio aveva un costo.

Il tariffario, ricostruito attraverso i dialoghi captati dagli investigatori, appare preciso. Per l’uso degli appartamenti: 50–60 euro al giorno. Per tutto il resto — trasporti, piccole commissioni quotidiane, ricariche postePay o Mooney necessarie alla pubblicazione degli annunci online — altri 10, 20, fino a 40 euro. Cifre modeste se prese singolarmente, ma che, sommate e ripetute per più donne e per più giorni, delineano una fonte di guadagno costante.

Non si tratta, secondo le ipotesi accusatorie, di un’attività improvvisata, ma di una struttura che ha funzionato per mesi: discreta, non particolarmente visibile, ma puntuale nella gestione.

Stamane l’ordine di misura cautelare firmato dal G.I.P. del Tribunale di Agrigento che porta agli arresti domiciliari per i tre uomini. Per la cittadina domenicana è stato disposto il divieto di dimora in sei comuni del territorio agrigentino e nisseno e precisamente, nei Comuni di Licata, Palma di Montechiaro, Campobello di Licata, Ravanusa, Butera e Gela.

Dietro la chiusura dei tre appartamenti e la fine momentanea di un’attività sommersa, rimangono tutti i contorni di un sistema di sfruttamento ampio e diffuso che troppo spesso, sfruttando la vulnerabilità delle donne straniere coinvolte, riesce a mimetizzarsi nelle pieghe meno visibili dei contesti sociali.