PRIMA PAGINA- Siccità, asse Roma-Palermo contro l’immobilismo
Nei giorni scorsi, dal cielo di Sicilia, come segnala l’associazione nazionale dei Consorzi di bonifica, è caduta nient’altro che sabbia del Sahara: mentre al Nord nevicava e diluviava, nel mese di marzo l’isola ha registrato una pioggia praticamente dimezzata, 36 millimetri contro una media mensile di 73 secondo il Servizio Agrometereologico nazionale. E l’Osservatorio Ue sulla carenza idrica già dalla metà del mese scorso, in una situazione di generalizzata gravità in ampie zone del bacino mediterraneo, aveva inserito la Sicilia in un’area di riconosciuto allarme, insieme a Murcia, l’area di Valencia e Maiorca in Spagna. Oltre i dati, tutti parlano di una situazione emergenziale che attende ora, sull’asse Palermo-Roma, solo l’ufficializzazione nazionale nel Consiglio dei ministri. Ne verrà – lo annunciava il vice del presidente regionale, Luca Sammartino, nell’Assemblea regionale siciliana mercoledì sera – un allentamento della morsa creditizia che insidia le imprese. E in generale, probabilmente, un sostegno ad agricoltori, allevatori e pescatori che da mesi protestano. Ma ciò che fatica a delinearsi, ed è opera improba approcciarsi a conoscerne qualche dettaglio preciso attraverso i canali di comunicazione della Regione Siciliana, è lo spettro di una manovra che ormai cittadini e categorie produttive pretendono, dopo decenni di immobilismi e rinvii. E che dovrà, necessariamente, prevedere iniziative concrete per invertire una rotta finora plasticamente raffigurata da rubinetti a secco e invasi semivuoti.
Già mercoledì sera, al termine di un dibattito nell’Aula del Parlamento siciliano cui, da taluni criticato, non ha inteso partecipare, il presidente Renato Schifani affidava ad una nota stampa di poco più di 350 parole, il ribadito impegno di “garantire acqua potabile ai cittadini e l’approvvigionamento idrico ai settori agricolo e zootecnico, oltre che alle imprese impegnate nei cantieri”. Schifani chiarisce che serviranno “urgenti interventi statali per operare su reti e sistemi di approvvigionamento idrico e per sensibilizzare i cittadini a un uso più razionale della risorsa” oltre a “sgravi fiscali e contributivi, moratorie e sospensione di adempimenti per le imprese del settore agricolo e zootecnico”. Poi, l’indicazione di una “relazione della Protezione civile” – fino a ieri sera ignoti i motivi della mancata diffusione pubblica completa di questo atto – che “indica interventi a breve e a medio termine per mitigare la crisi che prevedono la riduzione dei consumi delle utenze idropotabili, interventi sugli invasi, campagne di informazione e sensibilizzazione per il risparmio, interventi per reperire risorse alternative (dissalatori mobili e navi con moduli dissalativi), acquisto di autobotti e silos per la distribuzione in luoghi pubblici, utilizzo di pozzi e sorgenti, riparazione di reti idriche, ammodernamento degli impianti di dissalazione nei siti dismessi di Porto Empedocle, Paceco-Trapani ed eventualmente anche Gela”. Tre dei numerosi impianti che le cronache raccontano essere stati via via dismessi nel corso degli anni per l’elevato costo di gestione: 30 milioni di euro all’anno, per impianti abbandonati e talvolta vandalizzati. Un dissalatore, quello di Trapani, cui l’Ati idrica della provincia più occidentale della Sicilia non ha mai messo mano, con il suo presidente Francesco Gruppuso ad aver finora allargato le braccia, sconsolato, rispetto ad ogni richiesta di intervento economico. In più, sui dissalatori, c’è pure da raccontare che i territori talvolta li giudicano come un vaso da riempire inutilmente e ad un costo elevato, considerato lo stato di una rete idrica che disperde poi gran parte delle forniture che riceve. E che qualcosa non torna, in questa volontà di riaprirli, se Siciliacque (75% Italgas, 24 % Regione), operativa dal 2004 distribuendo a 1,6 milioni di siciliani 70 milioni di metri cubi di acqua, considera ufficialmente sul suo sito web un importante risultato essere riuscita a “spegnerli”.