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Attualità

PRIMA PAGINA- Cosa nostra di ieri e di oggi e l’affondo a Messina Denaro

di Francesca Gallo -





Le mafie hanno una lunga storia, che va avanti da quasi due secoli. E anche nel giorno del ricordo e del trentaduesimo anniversario della Strage di Capaci, le riflessioni si sono concentrate anche sulle organizzazioni mafiose, ieri e oggi, sui ruoli di quei boss che sono stati e sui gruppi criminale in attività. A parlarne a Palazzo Jung, a Palermo il procuratore capo del capoluogo siciliano Maurizio De Lucia.
“Le mafie hanno una storia che dura da almeno 160-170 anni – ha dichiarato – hanno già vissuto crisi, probabilmente non come questa, ma la hanno superate. Ma il modo di pensare di Cosa nostra non è cambiato. Nelle recenti intercettazioni viene messo in risalto come un mafioso del 2024 ragiona come uno del 1980 – ha ribadito -, il modo di pensare è lo stesso”.
Lo stesso modo di Matteo Messina Denaro, il boss arrestato nel gennaio 2023 e morto a causa di una malattia terminale nel settembre dello stesso anno. Lo ha chiamato in causa lo stesso De Lucia, ma per un altro motivo, cosa resta dopo il boss che ha vissuto in latitanza – e comandato – per trent’anni.
“In Cosa nostra non ci sono regole di successione – ha detto De Lucia – e non c’è un capo della mafia dopo Messina Denaro. Quello che sappiamo su Giovanni Motisi è che un condannato all’ergastolo, ed è latitante da 26 anni, troppo tempo. Noi abbiamo il dovere di fare cessare la sua latitanza e lo prenderemo. Non c’è un capo conclamato dopo Matteo Messina Denaro”.
De Lucia nel suo intervento chiama in causa Giovanni Motisi, che rappresenta l’ultimo latitante di Cosa Nostra.
Fino a qualche anno fa era stato dato per morto, fino alla notizia della divulgazione di una ricostruzione del suo volto da parte del Servizio Polizia Scientifica, che suggerisce l’ipotesi che Motisi sia ancora in vita, e che sia latitante da 25 anni.
Motisi è cresciuto nel quartiere palermitano dell’Uditore e lì ebbe un ruolo di ex reggente del mandamento di Pagliarelli. Il latitante è accusato di avere commesso numerosi omicidi per conto dei corleonesi.
Fra questi, quello costato la vita nel 1985 al vicequestore Antonino Cassarà ed all’agente Roberto Antiochia. E nel giorno del ricordo non sono mancate neanche le rivelazioni, stavolta su Matteo Messina Denaro. A farle è stato il comandante del Ros Vincenzo Molinese: “Finora sono stati sequestrati ben 250 milioni, tra aziende, titoli, immobili, contanti riferibili a Matteo Messina Denaro”.
Un dato che ci ricorda, ha proseguito Molinese come “La mafia riesce a inquinare la società civile. La forza di Cosa nostra è al di fuori dell’organizzazione: riesce a penetrare tra professionisti, istituzioni è una sua peculiarità.
I grandi risultati nella lotta alla mafia creano disorientamenti nelle organizzazioni mafiose”.
Quello riguardante il boss di Castelvetrano è di certo un dato che parla di sequestri davvero importanti: ma l’ammontare del valore delle attività portate avanti dal latitante sarebbe molto più ampio.
Un calcolo fatto nel 2023 a seguito dell’arresto del boss da Libera e Lavialibera, rivista dell’associazione antimafia: si parlava nel report di un tesoro pari ad oltre quattro miliardi di euro in una provincia, quella di Trapani, dove la media dei redditi pro capite è tra le più basse d’Italia.
Attività che si dividerebbero in aziende, conti correnti, beni mobili e immobili sequestrati e confiscati in seguito alle attività investigative grazie a prestanomi, gregari, imprenditori, persone a vario titolo riconducibili a Matteo Messina Denaro.
Il tutto grazie a una fitta rete di protezione fatta di gregari e di amici. Un passo tra la vecchia e la nuova mafia, sempre dura a morire e sempre da continuare a combattere.