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L’ultimo brindisi del figlio del boss Intelisano

di Alessandro Fragalà -





C’è anche Filippo Intelisano, tra gli arrestati nell’inchiesta “Ultimo brindisi” della Procura Europea di Palermo per una maxi-evasione Iva. 41 anni e incensurato, Intelisano, è figlio del boss Giuseppe detto “Pippu ‘u niuru” (“Pluto il nero”, ndr) esponente di spicco del clan Santapaola, di cui sarebbe stato anche per un periodo il reggente, che sta scontando l’ergastolo, comminato il 28 giugno del 2003 con la sentenza del processo ‘Orione 5’, in regime di 41 bis nel carcere di Sulmona. Filippo Intelisano è stato arrestato all’aeroporto di Venezia mentre, insieme alla moglie, stava per imbarcarsi per Dubai. L’inchiesta è stata coordinata dai Pm della Procura Europea Amelia Luise e Gery Ferrara e si basa su indagini del primo Gruppo della Guardia di finanza di Catania. Filippo Intelisano era stato indagato in stato di libertà nel marzo del 2008 nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Catania sul tentativo, sventato da indagini della Guardia di finanza, di riacquistare un’azienda di trasporti, la Riela group, che era stata confiscata per mafia nel 1999. Gli altri arrestati, destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, nell’ambito della stessa operazione sono i catanesi Milena Bulla, Fabio Spina, Vincenzo e Andrea Maria Carelli e il salernitano Concordio Malandrino. Il gip Marina Rizza ha disposto i domiciliari per Virgilio Papotto, Cristian Parisi, Gianluca Russo e Settimo Carlo Abate. Le misure cautelari personali, dunque, coinvolgono 10 persone, di cui 6 sono in carcere e 4 agli arresti domiciliari, tutte fortemente indiziate di associazione per delinquere finalizzata all’evasione e frode fiscale, nonché di condotte plurime di bancarotta. Inoltre, 17 indagati sono soggetti a misura cautelare interdittiva, che prevede il divieto di esercitare l’attività d’impresa e di rivestire ruoli direttivi o amministrativi presso società, anche per interposta persona, per un periodo di un anno. Il sequestro preventivo ha riguardato somme di denaro detenute da 17 società di capitali e da 25 indagati. In particolare si tratta delle quote sociali possedute riferibili a 17 società con sede a Catania, Messina, Padova e Roma, tutte operanti nel settore del commercio all’ingrosso e dettaglio di generi alimentari e bevande e del trasporto, di 98 immobili distinti in 48 fabbricati e 50 terreni, siti in provincia di Catania, Messina, Salerno, Roma, Padova, Siracusa, Rieti, L’Aquila e Milano e di 29 veicoli, per un valore complessivo di oltre 30 milioni di euro, quale profitto del reato di evasione fiscale ai fini dell’IVA. In via sussidiaria, sono stati sequestrati anche beni finanziari e patrimoniali (immobili e mobili) di questi ultimi, fino a un valore complessivo superiore a 30 milioni di euro, corrispondente all’imposta evasa ai fini dell’IVA.
L’operazione “Ultimo Brindisi” ha preso di mira un gruppo criminale che operava illegalmente nel commercio di bevande, evadendo l’IVA sul territorio nazionale. L’indagine, protrattasi per circa due anni, ha svelato un’organizzazione piramidale che ha generato un volume d’affari di oltre cento milioni di euro, frodando il Fisco di oltre 30 milioni di euro. L’organizzazione, celandosi dietro cd teste di legno, gestiva, di fatto, imprese cartiere (missing trader) e interposte (buffer), attraverso cui hanno realizzato l’imponente evasione dell’IVA. Le cartiere servivano a utilizzare e ad emettere fatture per operazioni inesistenti nella commercializzazione di bevande che, grazie all’evasione d’imposta, potevano essere vendute a prezzi altamente concorrenziali. Le indagini hanno anche rivelato che il gruppo criminale, operante da un deposito di Belpasso (in provincia di Catania), utilizzava imprese cartiere e interposte per perpetrare l’evasione fiscale, simulando operazioni inesistenti e gestendo fatture false. Le attività fraudolente comprendevano anche l’acquisto senza I.V.A. di merci falsamente destinate all’estero e l’utilizzo di società apparentemente estere ma gestite in Italia, per simulare operazioni intracomunitarie. Il profitto illecito, stimato a quasi 600 mila euro, includeva anche crediti d’imposta inesistenti generati attraverso falsi corsi di formazione “4.0”. Inoltre, alcuni membri del gruppo sono stati implicati in bancarotte fraudolente mediante l’intenzionale conduzione all’insolvenza di tre società, prelevate delle risorse finanziarie e private di beni strumentali ceduti a prezzi irrisori.