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La Finanziaria dei conti che non tornano: 44 deputati, un governo e il resto che comanda

di Piero Messina -





Quarantaquattro è il numero ricorrente di questa sessione parlamentare. Eco lontana dello Zecchino d’Oro. Roba da palati raffinati. Chissà se i deputati se ne sono accorti. Una volta c’erano i gatti, 44 in fila per tre col resto di due. Oggi, a Palazzo dei Normanni – Parlamento più antico d’Europa, ma non sempre il più giovane di spirito – davanti a quel 44 campeggia un 1: 144 articoli della finanziaria monstre del governo Schifani. Una manovra che, a sentire il presidente della Regione, dovrebbe finalmente distribuire risorse e sviluppo. Ma verrà snellita in corso d’opera, ah se verrà snellita! Sul piatto ci sono un paio di miliardi da investire. Poi però si passa dai numeri della propaganda a quelli della politica. E lì iniziano i problemi.
Quarantaquattro. Again. Sono 44 i deputati, in fila per quattro, col resto di uno. Un resto che non è un dettaglio aritmetico, ma una questione di potere. E infatti è proprio lì che si infila Cateno De Luca, che da settimane fa ciò che gli riesce meglio: picconare. Piccona il governo. Piccona la maggioranza.
Piccona assessori, scelte, tempi e metodi. Dicono che voglia vestire i panni dell’assessore al Bilancio nel governo che il presidente Schifani, volente o nolente, dovrà reimpastare dopo la pausa natalizia. E dopo il voto della Finanziaria. Poi – sempre De Luca – apre il quaderno a quadretti e spiega la politica come se fosse una tabellina: «La maggioranza è composta da 44 deputati, la Giunta da 12 assessori. Regola semplice: un assessorato ogni quattro deputati». Traduzione simultanea: tutti responsabili, nessun capotribù scontento, faide archiviate.
Una Sicilia razionale. Un’utopia. Perché la divisione non funziona. 44 diviso 4 fa 11, non 12.
E nella politica siciliana, come nella vita, quando i conti non tornano qualcuno ha già incassato la differenza.
Qualche mese fa De Luca annunciava di voler restare agli antipodi del governo Schifani. Opposizione dura e pura. Era febbraio. San Paolo Palace. Platea plaudente. Raccontava il suo “tirocinio” accanto a Schifani, descritto come una risorsa per la politica, quasi un santo laico.
Oggi il tirocinante è tornato maestro. Schifani non è più San Francesco, né l’“ologramma” di un tempo, ma un “Re Sole che rischia di diventare Re Solo”.
Nel frattempo Sud chiama Nord va in soffitta. Al suo posto nasce “Ti amo Sicilia”: marchio nuovo, prodotto pret a porter. Centralità politica, ago della bilancia, potere di interdizione. Il debutto è fissato per il 18 gennaio a Caltagirone, con annessi e connessi: “Governo di liberazione” e nuovo intergruppo parlamentare. Il fantasma di Sturzo e la fantasia al potere, almeno nei nomi.
La Democrazia cristiana, che da settimane naviga in acque giudiziarie agitate, osserva, riflette e poi annuisce. L’idea piace. Anche perché De Luca ha già fatto sapere che i due assessori Dc silurati non meritavano l’espulsione. Tradotto dal politichese: l’intergruppo si può fare, purché non si rompa davvero. La fedeltà a Schifani resta solo in filigrana. Per ora.
Così Dc e Sud chiama Nord restano separati sulla carta, ma uniti nei fatti. All’Ars parlano con una voce sola e diventano la terza gamba della maggioranza. Non abbastanza grandi per comandare. Abbastanza forti per condizionare. Il centro perfetto: non governa, ma decide chi governa.
Intanto la finanziaria procede come procedono le cose in Sicilia: a strappi, tra voti segreti e colpi bassi. Più che un dibattito economico sembra una resa dei conti interna, con la prammatica del nascondino che manda già due volte sotto il governo. Nulla di irreparabile, certo. Ma il messaggio è chiaro anche ai più distratti.
Il clima è appesantito dalle vicende giudiziarie che tornano a lambire Totò Cuffaro e, di riflesso, la maggioranza. Le nuove carte raccontano incontri, retroscena, giudizi tranchant. Non esattamente il sottofondo ideale per una manovra “di sviluppo”.
Eppure, alla fine, il lavoro del parlamento siciliano va avanti. Nel carniere ci sono i primi articoli approvati, come il numero 1. Passato. In due giorni, coi primi tre articoli, è stato impegnato quasi mezzo miliardo di euro. La prima norma a passare è quella da 150 milioni per la decontribuzione delle assunzioni over 50. Merito di Schifani che scende in Aula, ricuce, concede, riscrive. La norma cambia pelle: emendamenti di Pd e M5S inglobati, percentuali ritoccate, sgravi Irap, welfare aziendale. Tutti soddisfatti. Temporaneamente. Altri 200 milioni sono destinati a rafforzare il sostegno alla ripresa occupazionale. La manovra può andare avanti, dicono. Ma resta quella divisione elementare che nessuna riscrittura può aggiustare. E il numero 44 che aleggia cabalisticamente. E in politica, si sa, il resto non è mai un errore di calcolo.