Il contratto d’impresa sfruttato per impostare un articolato sistema di frode: arresti e sequestri in tutta Italia
Un sistema complesso e collaudato per sfruttare, in modo illecito, le opportunità fornite dal contratto d’impresa. Un sistema di frode fiscale raffinato che si snodava su tutto il territorio nazionale, ma che aveva un’unica regia nella città di Catania. E’ quello che ha scoperto la Guardia di Finanza nell’ambito di un’indagine, denominata “Alto Livello”, che ha portato, con due distinte ordinanze, alla custodia cautelare in carcere per 5 persone, 7 persone agli arresti domiciliari, altre 4 con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e un sequestro complessivo di circa 29 milioni di euro. Le accuse, che valgono anche per altri 17 indagati, sono di associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, infedele dichiarazione dei redditi, omesso versamento di ritenute previdenziali e dell’imposta sul valore aggiunto, autoriciclaggio nonché concorso nel riciclaggio di denaro illecito e dichiarazione fraudolenta.
L’articolato sistema di frode sarebbe risultato alimentato dalla creazione di ben 14 reti di impresa, di cui avrebbero fatto parte 37 società con funzione di “distaccanti”, operanti in molteplici località del territorio nazionale, e, addirittura, 439 imprese “distaccatarie” dislocate su tutto il territorio nazionale. In sostanza nell’ambito di queste reti, sotto una regia unitaria con a capo l’imprenditore Carmelo Di Salvo, le società capofila avrebbero agito da meri “serbatoi di manodopera” e sarebbero state organizzate secondo le esigenze gestionali del “sistema”, il cui core business si sarebbe limitato esclusivamente a consentire il distacco dei lavoratori a scopo di lucro nei confronti di 439 società definite distaccatarie; i dipendenti, formalmente licenziati da quest’ultimi per essere assunti dalle caporetiste, avrebbero in concreto continuato a svolgere le proprie mansioni presso il proprio datore di lavoro sotto la veste di lavoratori distaccati. Sostanzialmente non accorgendosi di nulla. Inoltre dopo avere accumulato un debito tributario e contributivo significativo, queste società sarebbero state sistematicamente poste in liquidazione e sostituite da altre società che avrebbero assorbito i medesimi lavoratori, posti nuovamente in distacco a favore della stessa impresa beneficiaria.
Di Salvo, dunque, al vertice di questo articolato sistema, si sarebbe avvalso di due studi di consulenza catanesi: uno legale, Copia e Parteners, e uno commerciale, Studio Alto Livello. Entrambi erano fondamentali per la gestione delle reti d’impresa: dall’organizzazione del lavoro, alla direzione dei prestanome a cui ricondurre la rappresentanza formale delle imprese capo. Sotto la direzione di DI SALVO e dei suoi collaboratori, le imprese fondatrici delle diverse reti di imprese succedutesi nel tempo avrebbero emesso FOI caricandosi di importanti debiti IVA, destinati a non essere onorati. Questo consentiva a centinaia di società utilizzatrici della manodopera di ottenere un duplice vantaggio: incrementare la flessibilità aziendale, essendosi spogliate della gestione formale dei propri lavoratori dipendenti e nello stesso tempo ridurre i costi del lavoro subordinato, potendo contare su un onere per il servizio di erogazione di personale in distacco più economico rispetto a quello da sostenere con assunzioni in proprio, tenuto conto anche della possibilità di portare in detrazione l’iva applicata alle fatture emesse dalle società distaccanti. Per il sodalizio criminale invece, i guadagni illeciti sarebbero derivati dalla presentazione di dichiarazioni dei redditi infedeli o fraudolente per le società coinvolte nella frode nonché dalla sistematica omissione dei versamenti delle ritenute previdenziali per i lavoratori formalmente assunti e poi distaccati e dell’IVA incassata a seguito dell’emissione delle FOI, con un danno per l’Erario di notevole entità. In soli 5 anni il fatturato delle società gestite da Di Salvo avrebbe raggiunto oltre 61 milioni di euro, a fronte del quale non sarebbero state versate le imposte e i contributi dovuti per circa 25 milioni di euro. Gli ingenti proventi di natura illecita sarebbero stati in parte reimpiegati verso specifiche società e in parte dirottati a favore di Di Salvo e di altri indagati. Inoltre è stata osservata una vorticosa movimentazione di denaro contante, che rappresenterebbe il profitto dei reati contestati, utilizzata per assicurarsi un tenore di vita molto elevato e per l’acquisto, in diverse occasioni, di beni di lusso o beni rifugio come Rolex, monete e lingotti d’oro, per circa € 270 mila. Per il riciclaggio dei proventi illeciti venivano utilizzate figure senza capacità reddituale. 7