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I SICANI – Verso l’autonomia regionale: la Sicilia ha le carte in regola?

di Redazione -





di PASQUALE HAMEL* – Sull’Autonomia Regionale della Sicilia si è scritto tanto e, per lo più, per lamentarne il suo evidente insuccesso che, da parte di chi ha creduto, e vuole ancora credere, nelle virtù salvifiche dello Statuto regionale siciliano, viene considerato l’effetto del tradimento delle ragioni stesse che, nel 1946, portarono alla promulgazione con Regio Decreto Leg.vo n.455. Ma si può realmente parlare di tradimento? Nata in un clima tutt’altro che sereno, la Sicilia mostrava ancora le ferite aperte della guerra ed il suo futuro appariva incerto e complicato, l’Autonomia si calava infatti in un contesto economico-sociale disastroso che richiedeva quelle risposte urgenti e necessarie che lo Stato non sembrava in grado di potere offrire. I vecchi risentimenti, nei confronti dello Stato unitario che anche nel recente passato, in effetti, aveva troppo spesso trascurato l’isola in quel frangente storico avevano favorito l’emergere di un forte movimento separatista che si era presa tutta la scena pubblica costringendo le culture politiche di segno diverso a mettersi in tutta fretta insieme per trovare una soluzione che tagliasse le gambe agli indipendentisti. La soluzione trovata da quelle culture unite nel C.L.N. siciliano per arginare il separatismo coincise con quella che era già intuita prima del plebiscito del 21 ottobre 1860, plebiscito con il quale la Sicilia veniva, sic et simpliciter, annessa al Regno d’Italia. Quella soluzione prevedeva che l’ingresso dell’isola nel neonato stato unitario fosse accompagnato da un’autonomia che garantisse alla Sicilia condizioni privilegiate e un regime speciale.

E proprio a questo scopo, era stato istituito dal fiduciario di Garibaldi il pro-dittatore Mordini, un Consiglio straordinario di Stato con il compito di studiare il tipo di amministrazione che conciliasse meglio gli interessi dei siciliani con quelli della nazione italiana. In pratica l’estensione alla Sicilia della legislazione del Regno di Sardegna, che comportò la cosiddetta “piemontesizzazione” provocando insoddisfazioni, delusioni e, soprattutto, molti risentimenti. Da allora, la storia siciliana è stata infatti segnata dall’idea che, quindi, i guai della Sicilia fossero stati causati da quell’affrettata e infausta decisione e che le colpe del mancato sviluppo economico e sociale dell’isola fossero da addebitare al centralismo unitario delle Regioni Nord le cui fortune sono state alimentate sfruttando le regioni meridionali. Un tema, il cosiddetto “meridionalismo querulo e piagnone” come lo definiva Francesco Campagna. Riprendere nel dopoguerra il percorso interrotto dal plebiscito, costituì allora l’idea vincente per assestare un colpo mortale a quell’indipendentismo che aveva preoccupato molti anche se in realtà, come dimostreranno le consultazioni elettorali del 20 maggio 1947, non aveva quel radicamento sociale che era stato millantato dai suoi promotori. L’Autonomia disegnata dallo Statuto del ’46 non si correlò agli obiettivi che i padri dello Statuto si erano prefissati e cioè lo sviluppo economico e sociale dell’isola ma piuttosto si risolse in uno strumento difensivo rispetto quelle novità rivoluzionarie che emergevano nel dopoguerra . Tutto si risolse in uno Statuto d’autonomia senz’anima. Né si può dire che sia stato fatto nel corso degli anni uno sforzo per mettere riparo a questi vizi d’origine. L’eccezione, così li possiamo considerare almeno generosi tentativi di riempire di contenuti un cesto vuoto, quelli delle presidenze La Loggia, Bonfiglio, Mattarella e Nicolosi. L’insuccesso di cui si scriveva ad inizio possiamo dunque dire che fosse scontato: non si potevano pretendere da un’Autonomia nata male risultati miracolosi. E’ inoltre poco onesto affermare ch’essa sia stata tradita da quelli che vengono individuati come i suoi nemici e nemmeno ancora perché lo Stato ha cancellato alcune statutarie. In poche parole, al di là delle polemiche, e qui uso una frase famosa pronunciata da Giuseppe D’Angelo, frase poi riesumata da Piersanti Mattarella, bisogna riconoscere che ieri, come oggi la Sicilia non ha avuto e non ha quelle “carte in regola” che la legittimano ad alzare la voce nel contesto politico nazionale.

*Storico e saggista

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