Leggi:

Attualità

Dal dolore all’impegno: nasce l’associazione Sara Campanella per proteggere le giovani donne

di Bianca Giunta -





Trasformare una ferita insanabile in un gesto che guarda avanti. Dare forma civile a un’assenza che non può essere colmata, ma può diventare presidio, voce, responsabilità collettiva. È con questo spirito che ai Cantieri culturali della Zisa, nel cinema De Seta, è stata presentata l’associazione intitolata a Sara Campanella, la studentessa palermitana di 22 anni uccisa a Messina da un collega di corso.

«Custodiamo ciò che era e ciò che poteva diventare. Trasformiamo il suo sorriso in azione, in protezione». Le parole di Maria Concetta Zaccaria, madre di Sara, non cercano consolazione. Cercano senso. E lo trovano in un progetto che nasce dal lutto più radicale e si fa impegno pubblico, educativo, politico nel significato più alto del termine.

L’associazione prende forma come risposta alla violenza di genere, ma soprattutto come argine culturale. «Nasce per proteggere ogni giovane donna – spiega la madre – finché racconteremo la sua storia e lotteremo per ogni vita, Sara continuerà a indicarci la strada verso un mondo più giusto». Un’idea maturata già nei giorni del funerale e diventata oggi una realtà condivisa, sostenuta da una comunità ampia: familiari, amici, istituzioni, insegnanti, studenti.

Il cuore operativo dell’associazione sarà l’educazione sessuo-affettiva, considerata il primo e più necessario strumento di prevenzione. «Prevenire è la strada maestra per contrastare la violenza di genere», sottolinea Giusi Sclafani, docente e socia fondatrice, legata da un rapporto professionale e umano alla famiglia di Sara. Un lavoro che partirà dalle scuole, dai luoghi della formazione, dalla costruzione di relazioni sane prima ancora che dalla repressione dei reati.

L’associazione potrà presto avere una sede in un bene confiscato all’Acquasanta, un dettaglio tutt’altro che simbolico: un luogo sottratto alla criminalità che diventa spazio di tutela, educazione e futuro.

Non c’è più una battaglia giudiziaria da combattere, dopo il suicidio del femminicida Stefano Argentino. Ma resta una battaglia più grande, forse più difficile: quella culturale. «Tenere viva Sara – raccontano – significa tenere vivo l’impegno perché nessun’altra figlia diventi una vittima».

Non è più una storia individuale. È una trama collettiva, che chiama tutti in causa. Perché, come insegna questa nascita dolorosa e necessaria, la memoria può diventare azione. E il dolore, se condiviso, può ancora generare cura.