Bilanci, riflessioni e prospettive nella conferenza stampa di fine anno del Presidente Schifani
Nessuna corsa, nessuna smania, nessuna candidatura rivendicata col ditino alzato. Renato Schifani parla da presidente in carica, più che da aspirante bis, e lo fa con il tono di chi rivendica il tempo come categoria politica. «Sto lavorando – dice – e occorrono dieci anni per attuare un programma completo. Non è una rivendicazione, ma un dato di fatto».
A Palazzo d’Orléans, nel tradizionale incontro di fine anno con la stampa, il governatore siciliano tiene insieme prudenza istituzionale e consapevolezza del ruolo. La regola del centrodestra, ricorda, prevede la riconferma dei presidenti uscenti. Ma non c’è alcuna forzatura: «A me è stato chiesto di scendere in campo, non ho alzato io il ditino». Una frase che pesa più di molte dichiarazioni programmatiche, perché racconta una leadership che rivendica la chiamata, non l’autocandidatura.
Schifani non chiude la porta a nulla, nemmeno all’imprevedibilità della politica, ma respinge l’idea di un dibattito sul futuro che distolga dall’oggi. «Sono sereno – sottolinea – ho ottimi rapporti con i leader nazionali e regionali. Poi la politica è imprevedibile». E, con una battuta che stempera i toni, aggiunge che solo un improvviso colpo di testa potrebbe portarlo a dedicarsi ai nipoti.
Il cuore dell’intervento, però, resta tutto nel presente. A cominciare dalla denuncia di un sistema regolamentare dell’Ars che, a suo dire, rende quasi impossibile governare. Il voto segreto e l’ostruzionismo, sostiene, hanno trasformato la manovra di stabilità in «un lungo parto». Da qui l’annuncio di una riforma del regolamento d’aula, per avvicinare il Parlamento regionale a modelli più funzionali, simili a quelli di Camera e Senato.
Sul piano dei conti, il presidente rivendica risultati certificati: disavanzo azzerato, avanzo di oltre due miliardi, parifiche di bilancio entro luglio che potrebbero liberare nuovi investimenti. Un percorso che riconosce anche al predecessore Nello Musumeci, a cui attribuisce l’avvio del trend di risanamento nonostante il peso del Covid.
Non mancano i nodi irrisolti. Sul caro voli, Schifani parla senza infingimenti: la Regione ha fatto il massimo consentito dalle regole europee, ma «altro non è fattibile». Serve, dice, un intervento nazionale ed europeo perché la situazione «è uno scandalo». Sulla sanità, il giudizio è ancora più netto: «La politica ha invaso la gestione abbassando il livello». Il sistema delle nomine dei manager, ammette, «ha fallito e deve essere riformato».
C’è poi il capitolo infrastrutture, affrontato con realismo quasi disarmante: «In Sicilia avremo la media velocità ferroviaria, non l’alta. Diciamoci le cose come stanno». Cantieri aperti, lavori in corso, orizzonte tra il 2029 e il 2030. Nessuna promessa mirabolante, ma una scansione temporale precisa.
Quanto alla tenuta della maggioranza, Schifani evita le polemiche ma non nasconde i problemi. Sul rimpasto è chiaro: «Devo riempire due caselle. Gli interim non possono continuare». E sulla Dc rivendica una scelta di fondo: non l’estromissione di singoli assessori, ma di un partito, per una questione di metodo e trasparenza.
Il messaggio finale è tutto politico, nel senso più classico del termine. Il tempo lungo come misura dell’azione di governo, la stabilità come condizione per le riforme, il lavoro quotidiano come risposta alle ambizioni personali. In un’epoca di campagne elettorali permanenti, Schifani prova a rovesciare la prospettiva: prima il governo, poi – forse – il bis. E se dieci anni sembrano troppi, è solo perché la Sicilia, storicamente, è stata governata troppo poco nel tempo necessario a cambiare davvero.
