Depistaggio Borsellino Il legale Trizzino “Figli traditi dallo Stato”
Dopo la tragedia di Via D’Amelio, l’avvocato Fabio Trizzino, rappresentante legale della famiglia del giudice Paolo Borsellino nel processo d’appello sul depistaggio della strage, ha criticato aspramente l’operato dei magistrati di Caltanissetta, guidati dal Procuratore Gianni Tinebra. Ha descritto la loro azione come caratterizzata da una “sconcertante superficialità” e “incuria”, che rifletteva il disfacimento del sistema giudiziario. Ha lamentato che mentre i poliziotti “erano liberi di scorrazzare nella illegalità”, dopo 32 anni di lotte legali, la famiglia era stanca e distrutta dalla vicenda. Trizzino ha evidenziato il dolore dei figli di Borsellino, sottolineando che la negazione della verità e l’incapacità di elaborare il lutto rappresentano un danno irreparabile. Ha accusato lo Stato di tradimento, sottolineando che i figli del giudice sono stati ingiustamente privati della giustizia in cui credevano. Ha denunciato l’operato dei magistrati, accusandoli di aver abdicato al loro ruolo di controllo sugli investigatori, consentendo loro di agire al di fuori della legge e senza riguardo per la dignità delle persone coinvolte. Trizzino ha espresso profonda emozione nel parlare del dottor Paolo Borsellino e ha criticato duramente i magistrati per le loro azioni, definendo il loro comportamento come un “corto circuito” del sistema giudiziario, con effetti devastanti sull’immagine della giustizia.
Ha sottolineato che Borsellino rappresentava l’ordine giudiziario morale e che la maggior parte dei magistrati lavora in silenzio, senza pubblicità. Ha infine ribadito la fiducia nella maggioranza silenziosa dei magistrati, nonostante le azioni criticabili di alcuni.
Il legale ha espresso il suo profondo disagio anche riguardo al collaboratore di giustizia Santo Di Matteo, esortandolo a dire finalmente la verità per porre fine a una vicenda che sta devastando tutti coloro coinvolti. Di Matteo ha iniziato a collaborare con i giudici nel 1993 e poco dopo il rapimento del suo figlio di 14 anni da parte di mafiosi travestiti da poliziotti. Già all’epoca delle sue prime dichiarazioni sui fatti di Capaci, Di Matteo aveva accennato alla possibilità di avere informazioni sulla strage di via D’Amelio. Tuttavia, dopo il rapimento del figlio, non è mai riuscito a chiarire appieno questi dettagli con gli investigatori.