Addio Totò Schillaci, eroe di emozioni mondiali indimenticabili
Ci lascia Totò Schillaci, capocannoniere azzurro di Italia 90, eroe di tante notti magiche, calciatore palermitano di fatto e di cuore, simbolo dello sport come riscatto sociale, un messaggio che ha voluto trasmettere a tanti giovani.
Di prima intenzione, sempre. Con la porta sulla linea di mira e, comunque, dentro la testa. Quel tiro, detonato in corsa da fuori area dal collo del suo piede migliore, il sinistro, nell’ottavo di finale contro l’Uruguay di Italia ’90, fu un capolavoro di potenza, precisione, istinto: il goal più bello tra i 6 che lo decretarono capocannoniere delle Notti Magiche. Ovvero il Mondiale contrassegnato dalle gesta di campioni come Baggio, Vialli, Giannini, Donadoni e Zenga, senza nulla togliere al resto della Nazionale arrembante, dal football tecnico e gioioso, guidata da Azeglio Vicini. Ma anche, e soprattutto, dai suoi guizzi incontenibili di centravanti puro. E dai suoi occhi: sgranati, affamati di vittoria, a volte ‘tragediatori’. Ma che, quando infine la rete si gonfiava, esplodevano di euforia.
L’astro di Salvatore “Totò” Schillaci brilla nella storia del calcio italiano sin da quando portava alla vittoria il Messina in Serie B. Per poi convincere tutti approdando alla Juventus, dove nella prima stagione segnò 15 reti, proiettando la sua carriera, nata dalle prime pedate sull’asfalto e sul campo pietroso del natìo Cep, quartiere problematico della periferia occidentale di Palermo, verso la consacrazione definitiva con gli Azzurri, che la coppa d’oro massiccio di quella edizione del Mondiale Fifa l’avrebbero meritata davvero.
Ma il calcio, con i suoi capovolgimenti, metaforizza la vita. E questa, come il pallone, può rotolare verso esiti ingiusti. Totò Schillaci se n’è andato questa mattina, sconfitto da un cancro al colon, contro il quale ha combattuto per almeno due anni. Era ricoverato da diversi giorni all’Ospedale Civico di Palermo, reparto di pneumologia. Lo ha fatto lasciando inciso nella memoria dello sport, non solo nazionale e in particolare in quella sociale della Sicilia il simbolo di un riscatto ottenuto.
Umili origini, le sue. E una vita difficile davanti. Nato di sette mesi, “i miei nonni mi scaldavano con bottiglie d’acqua calda”, raccontava; con una prospettiva solo di ostacoli e difficoltà. Un tragitto di vita, il suo, salvificamente deviato dal calcio: appena in tempo, sull’orlo del gorgo microcriminale di scippi e rapine.
Prima tappa fu proprio la squadra giallorossa della città dello Stretto, gestita da Franco Scoglio, l’allenatore pedagogo che ne riconobbe subito l‘attitudine a lasciare di sasso le difese avversarie e a mettere la palla in fondo al sacco. Poi, a Torino, titolare fisso nella rosa della Vecchia Signora, che lo ingaggia per 6 miliardi di lire.
Dopo la parentesi di Italia 90, con meno fortuna e una stella in progressivo affievolimento anche per via di malanni muscolari, le due stagioni all’Inter presieduto da Ernesto Pellegrini. Un declino agonistico accentuato anche dal fatto che, in quel periodo, gli altri campionati nazionali che si disputavano in Europa tendevano a chiudere le porte ai calciatori italiani. Una situazione che convince il bomber palermitano a trasferirsi in Giappone, allettato dal vantaggioso contratto offertogli dallo Jùbilo Iwata. Schillaci divenne così il primo calciatore d’Italia a militare nel campionato nipponico.
Non di rado al centro di ingenerose e becere contestazioni, Totò Schillaci, quando giocava nel campionato italiano. Nella Torino che acclamava i suoi gol, continuò a essere considerato un ‘terrone’. E non mancò il gruppo di tifosi antagonisti imbecilli che, a Firenze, gli fecero arrivare dritto in campo dalle gradinate un copertone. Un gesto di scherno a seguito dell’arresto di suo fratello a Palermo per aver rubato alcune ruote d’automobile.
Poi, a carriera conclusa da tempo, la vicenda con la dirigenza del Messina, città che non lo dimentica. Contattato con l’ipotesi di un suo ingresso nella società per portarvi avanti un progetto finalizzato a selezionare talenti dalle giovanili per portarli in prima squadra: nulla di fatto, spariti tutti.
E dire che Totò Schillaci la voglia di impegnarsi per aiutare i giovani in cerca di ‘svolta’, ricordando sé stesso, non l’aveva persa. “Penso all’attività di scuola calcio portata avanti a Palermo nel centro sportivo Ribolla o alla mano tesa in favore dei ragazzi richiedenti asilo dell’Asante Calcio che accompagnò nell’esordio nel campionato di Terza Categoria – ha ricordato a caldo, qualche ora fa, l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice. L’esempio di Totò Schillaci ha aderito alle istanze sociali di un territorio che richiede una corresponsabilità dei fedeli laici”.
La popolarità dell’ex calciatore palermitano, ha ricordato il sindaco Roberto Lagalla “non lo ha mai cambiato nell’animo, che ha sempre mantenuto gentile, umile e disponibile. Schillaci è stato l’esempio di rivincita per questa città che tra gli anni 80 e gli anni 90 attraversava grandissime difficoltà”. Di concerto con i familiari, l’amministrazione comunale ha voluto mettere a disposizione lo Stadio Barbera per l’allestimento della camera ardente nella sala stampa dello stadio a partire dalle ore 16 di oggi e fino alle 22 e dalle 7 di domani, sempre fino alle 22.
“Ciao mio caro amico, anche stavolta hai voluto sorprendermi. Fratelli d’Italia per sempre”, queste le parole di Roberto Baggio, suo amico dall’avventura del mondiale italiano e dalle stagioni alla Juve.
Palermo piange la perdita del suo calciatore più rappresentativo a livello internazionale. Con la memoria che corre immancabilmente laggiù, agli esaltanti momenti dei suoi gol colorati d’azzurro di 34 anni fa, enfatizzati dalle ‘onde’ lungo gli spalti e, nelle telecronache, dalle esclamazioni d’esultanza di Bruno Pizzul.