Un ponte sullo Stretto e un trave nel bilancio: la NATO non ci sta
Tredici miliardi di motivi per cui la contabilità creativa italiana sulle spese militari fa storcere il naso alla NATO.
A quanto pare, l’idea di infilare anche il Ponte sullo Stretto di Messina tra le spese NATO non ha fatto impazzire gli americani. Secondo Bloomberg, negli Stati Uniti qualcuno comincia a storcere il naso. L’ambasciatore USA presso l’Alleanza Atlantica, Matthew Whitaker, ha lanciato un garbato ma inequivocabile avvertimento: “C’è chi sta adottando una visione molto ampia della spesa per la difesa”. Troppo ampia, pare. E quando si parla di ampiezza, si sa, noi italiani non ci tiriamo mai indietro.
Ma attenzione, non è che allarghiamo il concetto per comodità o furbizia. No. È una forma d’arte. Una raffinata capacità tutta nostrana di leggere il mondo con occhi creativi. Se loro pensano alla difesa come una cosa fatta di elmetti, basi militari e radar, noi preferiamo pensare alla stabilità come a un viadotto di cemento armato, lungo 3,3 chilometri e ancorato agli abissi. È una questione di sensibilità mediterranea.
Del resto, il Ponte non è solo un’infrastruttura. È una metafora strategica. È una diga contro l’abbandono, uno scudo contro l’isolamento, una linea del Piave fatta di travi e bulloni. La Sicilia, senza quel collegamento, resta geograficamente parte d’Italia, ma psicologicamente altrove. E questo, in tempi di guerre ibride e destabilizzazione globale, è un problema di sicurezza. Altroché.
Chi pensa che si tratti solo di una manovra contabile non ha mai visto un assessore regionale spiegare a Bruxelles che una sagra della salsiccia era parte di un progetto europeo di coesione culturale. O un geometra trasformare un marciapiede in un percorso ecologico. Noi italiani, se non altro, ci mettiamo cuore, retorica e una certa musicalità narrativa. Sappiamo raccontare le cose. E se una cosa è ben raccontata, è già mezza giustificata.
Whitaker dice che segue con molta attenzione. Fa bene. Anche noi seguiamo con attenzione. Seguiamo ogni metro di tracciato ipotetico, ogni dichiarazione ministeriale, ogni bozza di decreto. E seguiamo soprattutto con attenzione come riusciremo a infilare un ponte nei bilanci NATO, come se fosse una batteria anti-missile travestita da infrastruttura.
Non sarà facile, ma chi ha detto che la difesa deve essere noiosa? Magari un domani ci spingeremo oltre: si potrebbe proporre che anche le rotonde servano a disperdere le colonne nemiche, o che le piste ciclabili, ben mimetizzate, possano diventare linee di evacuazione rapida in caso di attacco.
Nel frattempo, noi continuiamo a costruire il nostro ponte. Anche solo sulla carta. Ma con convinzione, con passione, e con la nostra solita, meravigliosa, disarmante capacità di spiegare le cose con un sorriso e un’alzata di spalle. Perché, in fondo, difendere un Paese significa anche tenerlo insieme. E cosa c’è di più “difensivo” di un ponte che unisce due sponde?