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Attualità

Un boss con una vita “normale” tra omertà e connivenza

di Redazione -





di CLAUDIA MARI
Un boss latitante, con una vita normale. Questo è emerso dalle ricostruzioni degli inquirenti che da ormai mesi e mesi indagano attorno alla rete costruita da e attorno Matteo Messina Denaro.
Una vita “normale”, appunto, vissuta grazie agli aiuti di fiancheggiatori e fedelissimi – ma soprattutto grazie al silenzio – che gli hanno permesso di agire come un libero cittadino. Molti sono gli esempi che sono emersi dalle indagini dei carabinieri del Ros coordinate dalla Dda di Palermo. Come già detto, è stato uno dei suoi “aiutanti”, l’architetto Massimo Gentile, a offrirgli una falsa identità: un nome e un documento con cui il boss si recò personalmente, nel 2014, in una concessionaria di Palermo per l’acquisto di un Fiat 500 e in una banca per il ritiro di un assegno.
L’inizio delle indagini, verso questa stretta rete di fiancheggiatori è partita da un appunto di Messina Denaro, trovato nella casa del boss nei momenti immediatamente successivi all’arresto. La scritta recitava: “10mila + 500 per Margot. Margot, come emerso da altri riscontri, era lo pseudonimo che Messina Denaro, che il latitante usava per indicare le sue auto nei pizzini o nei documenti. Due indizi che hanno portato i carabinieri a una vera e propria caccia al veicolo, arrivando fino alla concessionaria di Palermo dove è stata trovata la pratica dell’acquisto dell’autovettura con i documenti consegnati dall’acquirente: tra questi l’ormai virale fotocopia della carta d’identità intestata a Gentile con la foto e la firma di Messina Denaro, e con un misto di dati riferiti in parte al boss, in parte al prestanome e in parte falsi. Ad esempio, l’indirizzo di residenza indicato in “via Bono”, non è corrispondente a quello reale dell’architetto insieme alla data di scadenza del documentoo.
Quindi, le cifre scritte nell’appunto a cosa corrispondono? Per l’acquisito dell’auto il boss ha versato 1.000 euro in contanti e 9.000 attraverso un assegno circolare emesso dalla filiale di Palermo dell’Unicredit di Corso Calatafimi (quindi i 10 mila). Assegno ottenuto dopo aver esibito il falso documento e dichiarando che il denaro era frutto della propria attività di commerciante di vestiti. Oltre al documento, era stato “prestato” anche il recapito telefonico per le comunicazioni, stavolta il cellulare di Gulotta “una persona fidatissima e perfettamente informata di ciò che stava accadendo, poiché altrimenti chiunque altro ignaro della compravendita avrebbe, al primo contatto telefonico, allarmato la concessionaria e probabilmente messo a serio rischio la identificazione del latitante”, scrivono i Pm.
Oltre alle auto, i numeri di telefono, le assicurazioni e le questioni legate ai movimenti di denaro di Messina Denaro, per il boss è stato facilitato anche il percorso sanitario durante la malattia. Non solo esami effettuati in tempi record – una tac, come dicevamo, rapida e in piena sicurezza – e una visita oncologica rapidissima. Il boss è stato aiutato e coperto con un ricovero e una operazione a soli otto giorni dalla diagnosi di cancro al colon ricevuta a novembre del 2020: Matteo Messina Denaro ha potuto godere di una sanità efficientissima e in un periodo di piena emergenza sanitaria.
Aiuto e copertura arrivata grazie al tecnico radiologo dell’ospedale di Mazara del Vallo, Cosimo Leone, prima, sospettano gli inquirenti, di una serie di pedine insospettabili nel mondo della sanità che hanno aiutato il boss durante la malattia.
Una serie di favori che sono stati possibili grazie all’omertà e alla connivenza di tantissime altre persone che hanno agito – seppur non in prima persona – attorno ai fiancheggiatori. “Il quadro di connivenze in favore del latitante, fuori e dentro le strutture sanitarie, sta assumendo dimensioni allarmanti e imporrà a quest’ufficio ulteriori approfondimenti che saranno svolti in un contesto che fino ad ora non ha mostrato alcuno spirito collaborativo” scrive il gip di Palermo Alfredo Montalto.
Un atteggiamento che è continuato anche dopo la morte, a settembre, di Messina Denaro. Sempre secondo il gip il boss continua ad essere “venerato e protetto” anche oggi. Tutti indici, conclude il gip che “consentono di ritenere certa la conoscenza da parte dei medesimi indagati di ulteriori persone, dinamiche attinenti alla sfera più riservata e delicata della latitanza”