Tutelare la biodiversità siciliana A Palermo nasce il science gateway
di ANGELO VITALE
Era colonia degli orfani di guerra inaugurata nel 1948, l’Istituto Roosevelt dell’Addaura, sul lungomare Cristoforo Colombo di fronte ad uno dei tratti più belli della costa palermitana. Grazie a un’intesa della Regione Siciliana che lo ha ristrutturato per farne la sede dell’Arpa, vi sarà allestito, con il concorso dell’Università di Palermo, il Biodiversity science gateway di Nbfc, il National biodiversity future center, uno dei cinque centri nazionali finanziato dal Pnrr e coordinato dal Cnr con lo scopo di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030 delle Nazioni unite.
Condividere competenze e conoscenze per tutelare la biodiversità siciliana e sviluppare una rete di ricerca all’avanguardia che possa orientare le pratiche e le politiche istituzionali nel campo della sostenibilità ambientale, l’obiettivo. Gianluca Sarà, ordinario di Ecologia e co-coordinatore dello Spoke 1 dedicato al mare che opererà all’Addaura, spiega perché la biodiversità è tema di frontiera: “Rappresenta un asset, un valore da cui dipende il funzionamento degli ecosistemi, la fornitura di beni e servizi per il benessere delle persone. Per questo, necessita dell’attivazione di una ricerca con le migliori nuove tecnologie”.
E ancora: “Palermo, in questa iniziativa nel segno della sostenibilità ambientale, è simbolica perché la Sicilia è centrale nella questione e nel Mediterraneo. L’isola custodisce la più alta biodiversità in Italia, 7 aree protette, ecosistemi con la presenza più elevata della poseidonia oceanica e insieme, per esempio, vitigni relitti unici al mondo per capacità di resistenza al climate change, nonché le stesse caratteristiche idrodinamiche dei Paesi che si affacciano su questo mare. Può essere, quindi, hotspot unico per questa ricerca”.
Qui, si impegnano 320 milioni di euro, risorse finora mai spese su un unico tema. Una dimensione di sfida nell’ambito del Pnrr che si è tradotta con il più ambizioso programma mai tentato dallo Stato italiano per sostenere la ricerca e l’innovazione nell’ambito della biodiversità. L’Italia è il Paese Ue con maggior abbondanza di specie, di habitat e con il maggior tasso di specie endemiche. Oltre il 50% delle specie vegetali e il 30% delle specie animali di interesse conservazionistico a livello europeo sono italiani, si trovano solo all’interno dei nostri confini. E l’Italia vanta 85 tipologie di ecosistemi terrestri, ma il 68% è in pericolo e oggi da noi il 30% delle specie è a rischio di estinzione. Anche perché le Aree Protette italiane coprono solo il 17% della superficie terrestre nazionale e l’11% di quella marina.
Un proposito non semplice, che potrà avere un senso – se lo riconoscono i 600 ricercatori che vi lavorano – soltanto se l’impegno comune garantirà che la ricerca potrà durare nel tempo. Parafrasando il termine “moonshot”, ripreso dalla famosa sfida Apollo che portò l’uomo sulla luna e che simboleggia imprese audaci e tecnicamente complesse che si propongono di raggiungere obiettivi che sembrano irraggiungibili, dicono: “Non stiamo monitorando, preservando, ripristinando e valorizzando la biodiversità perché è facile, lo facciamo perché è difficile”. “La biodiversità è la soluzione – afferma Massimo Labra, direttore scientifico di Nbfc -. Troppe volte l’abbiamo vissuta come un problema perché si parla solo di perdita di specie e di erosione degli habitat. Nel centro nazionale vogliamo dirlo forte: per l’Italia la biodiversità è la più importante risorsa per moltissimi settori: turismo, benessere, alimentare. Nella biodiversità si nascondono i nuovi farmaci, le piante per un’agricoltura più resiliente, le tecnologie per produrre materiali non inquinanti”. E racconta che nell’ultimo anno il team di Nbfc ha studiato quasi 1000 specie di piante, alghe e organismi marini del Mediterraneo, in cerca di sostanze nuove e preziose che possano essere utilizzate per prevenire e curare malattie molto diffuse, quali le malattie metaboliche, il cancro e le malattie neuro-degenerative.