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Toxicily racconta il polo petrolchimico di Siracusa

di Redazione -





di ANGELO VITALE -Toxicily racconta il polo petrolchimico di Siracusa

L’allarme sul destino del territorio di Augusta-Priolo-Melilli-Siracusa che ospita uno dei più grandi centri di produzione petrolchimica d’Europa rimane ancora in larga parte sconosciuto al grande pubblico.
Questa, la motivazione del documentario intitolato “Toxicily” uscito al cinema e da settimane presentato, in tour, nell’isola.
Diretto da Francois Xavier Destors e Alfonso Pinto, il film dà voce a chi vive nelle coste del polo petrolchimico siracusano.
Nella costa orientale della Sicilia, tra uliveti e agrumeti, litorali con acque trasparenti e siti archeologici, sorge uno dei più grandi poli petrolchimici d’Europa che dal 1949 – questa la denuncia – avvelena l’ambiente e le persone.
In questo territorio, tra Augusta, Priolo, Gargallo e Melilli, fino alle porte di Siracusa, si sono concentrate quantità elevatissime di sostanze chimiche tossiche che hanno contaminato il suolo, l’aria, l’acqua e compromettono la salute degli abitanti. Una storia ancora in gran parte sconosciuta al grande pubblico ma che si vede, si sente e si respira.
Toxicily nasce per dare voce alle persone che qui resistono e vivono la loro quotidianità accanto alle fabbriche. Realizzato dal regista francese Francois Xavier Destors e dal geografo e fotografo palermitano Alfonso Pinto, il film è prodotto da Elda Productions (Francia) e Ginko Film (Italia) con il sostegno di Eurimages, del fondo Francia Italia CNC MIC, Sicilia Film Commission e Rai Cinema, e il patrocinio di Legambiente.
A settant’anni dall’arrivo delle prime raffinerie su quel territorio, i due autori hanno esplorato i temi del sacrificio ambientale e sanitario, restituendo agli spettatori i punti di vista degli bitanti. Se questa impresa industriale ha permesso di superare le miserie di un’economia agricola precaria trasformando pescatori, contadini e pastori in operai, ha creato negli anni una emergenza sanitaria e ambientale, inducendo l’aumento di malattie e malformazioni.
Le reazioni hanno abbracciato la rassegnazione ma anche la consapevolezza di un ricatto occupazionale. “Meglio morire di cancro che di fame”, una delle frasi ricorrenti tra le persone che danno voce al docufilm.
Altre persone, invece, resistono, hanno lottato e continuano una battaglia affinché si arrivi alla verità sui veleni e che essa sia finalmente riconosciuta dalle istituzioni.
Come la voce di Don Palmiro, un sacerdote che oggi paga il prezzo del suo impegno per la salute dei suoi concittadini, di Lina e sua figlia Chiara che dall’età di sette anni lotta contro una rara malformazione congenita, di Andrea che ha tentato la lotta durante la sua vita di operaio.
E ancora la voce di Nino che, malgrado la sua cecità, condivide i ricordi di un mondo perduto.
E quella di Giusi che dopo la perdita di suo padre a causa di una malattia professionale, si batte contro tutto e contro tutti in nome della giustizia ambientale.
Un documentario per evitare che quei veleni che hanno assassinato questa parte della Sicilia siano dimenticati.