Sicilia: puntuale come un orologio svizzero, arriva la notizia degli incendi estivi
Anche per quest’anno, sull’isola più bella e contraddittoria del pianeta, si rinnova la tradizione più antica dopo l’arancino/a.
di ANDREA FIORE
Siamo a fine luglio e, come ogni estate, la Sicilia brucia. Non è una metafora: bruciano le riserve naturali, i parchi, i boschi, la biodiversità e anche un po’ la pazienza. Le fiamme si portano via tutto, tranne la solita retorica: “mai più”, “dobbiamo intervenire”, “servono pene severe”.
Questa volta tocca alla Sughereta di Niscemi, Capodarso, la Riserva dello Zingaro, Monte Cofano, Cava Grande del Cassibile… un elenco che sembra il catalogo di un’agenzia turistica specializzata in paradisi perduti. E l’emergenza, ovviamente, non è finita: fa caldo, c’è la crisi climatica, ci sono i piromani, e noi stiamo ancora aggiornando il catasto degli incendi del 2004.
Le cause? Ah, ce n’è per tutti i gusti
C’è chi appicca il fuoco per “ripulire” i pascoli dalle erbacce: un sistema veloce, economico e distruttivo. Invece del diserbante o della falce, si usa direttamente l’inferno. Poi ci sono quelli che vogliono “recuperare” i terreni: prima si brucia, poi si coltiva, magari si costruisce pure, tanto chi va a controllare?
Ma il capolavoro resta lei: l’industria del fuoco. Un’idea tutta italiana, tutta siciliana, degna del Premio Nobel per l’assurdo. Funziona così: si incendia per creare lavoro. Avvistatori, spegnitori, ricostruttori. Contratti stagionali, precari, mal pagati e spesso con turni ridicoli. Un sistema che più che prevenire, sembra pregare per nuovi roghi. Un incendio? Ottimo, domani iniziamo i turni. E così il fuoco diventa curriculum.
E non finisce qui. C’è anche l’estorsione, perché il fuoco può convincere chi non vuole pagare la “protezione” a cambiare idea. Oppure può servire a riscuotere qualche premio assicurativo. Quasi sempre, invece, la piromania, quella vera, da disturbo mentale, è solo una comparsa nel teatrino. I veri incendiari spesso hanno un piano. Grezzo, illegale, criminale, ma pur sempre un piano.
Le conseguenze per la Sicilia? Anche queste, sempre le stesse
Biodiversità distrutta, animali carbonizzati, suolo devastato, turismo che scappa, e l’odore di fumo che resta anche quando le fiamme si spengono. Ah, e la solita richiesta di più mezzi, più uomini, più controlli. Magari l’esercito. Ma fino alla prossima estate, ovviamente. Poi si ricomincia.
Nel frattempo, si potrebbe cominciare a far rispettare le leggi già esistenti. Tipo: vietare l’uso agricolo o edilizio dei terreni bruciati. O aggiornare quei benedetti catasti degli incendi. Oppure evitare che chi accende fuochi per “bonificare” pascoli torni il giorno dopo a fare finta di niente.
Insomma, la Sicilia brucia, e noi facciamo la conta. Dei danni. Dei responsabili mai trovati. Delle promesse mai mantenute.
E mentre tutto si consuma, una domanda resta nell’aria (insieme al fumo): ma questa terra meravigliosa, ce la meritiamo davvero?