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Siccità, il sindaco di Agrigento: “Pronti a restituire il titolo di Capitale della cultura”

di Redazione -





di ANGELO VITALE
Francesco Miccichè, 66 anni, è sindaco di Agrigento da tre anni e cinque mesi alla guida di un’amministrazione di centrodestra. Miccichè è anche medico, dirigente per l’Igiene pubblica. Quindi accomuna nelle sue funzioni e nelle sue competenze la conoscenza precisa di ciò che significhi, per la sua comunità, la carenza idrica.
Non meravigliano, quindi, le sue recenti dichiarazioni in cui si dice “pronto a restituire il titolo di “Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025” se la città dovesse essere ancora irrimediabilmente attanagliata dalla crisi idrica”. Che Miccichè definisce “incombente per la perdurante siccità”. Un aggettivo assai pericoloso – “pronto” -, nel politichese di ogni colore, perché indissolubilmente legato ad un’azione che può avere ripensamenti, rinvii e slittamenti temporali di qualsiasi natura fino, talvolta, a finire nel dimenticatoio.
La notizia, ovviamente, ha fatto rumore. Preceduta solo dall’attenzione incessante dei media locali proprio per la siccità che “non darà tregua” almeno fino a metà mese. E da un’assemblea dell’Aica, l’azienda consortile di 32 Comuni dell’Agrigentino nata poco meno di tre anni fa per la gestione idrica integrata sul territorio.
Una chimera, a leggere la frequentemente rinnovata denuncia di reti colabrodo, turni di distribuzione che in alcune zone assicurano l’acqua una sola volta alla settimana, il mercato delle autobotti private sempre più aggressivo, le bollette salate puntualissime ad arrivare nelle case degli agrigentini. In quest’assemblea il prefetto di Agrigento Filippo Romano si è detto “pronto” a requisire i pozzi privati, particolare subito enfatizzato dalle cronache. Nelle quali, purtroppo, non si rileva traccia di quanti siano, se ne esista un censimento e quanto, in termini di volumi della preziosa risorsa, possano valere.
Si parla ancora, per la verità, di dissalatori pure se tutti sanno quanto costino, quali tempi necessitino per una loro nuova realizzazione o per il ripristino di quelli da tempo dismessi. Solo mercoledì scorso, l’annuncio del presidente della Regione Siciliana Renato Schifani – lo abbiamo scritto – che rendeva pubblica l’ipotesi di ripristinarne tre a Paceco-Trapani, Gela e appunto a Porto Empedocle, nell’Agrigentino. Quelli che Siciliacque (partecipata dalla Regione) è orgogliosa di aver contribuito a “spegnere”.
Vicinanza a Miccichè esprime l’eurodeputata leghista Annalisa Tardino, che guarda alle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione. Mentre la deputata 5Stelle Ida, elencando minuziosamente le colpe del passato, intende interrogare il ministro della Protezione Civile Nello Musumeci (il predecessore di Schifani, ndr).
E ora il sindaco Miccichè, che si dice fiducioso nella prossima ufficializzazione dell’emergenza nazionale a Palazzo Chigi e nell’operato del governo regionale, deve decidere se, come e quando passare dal clamoroso annuncio ai fatti.
In ballo, per il titolo di “Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025”, c’è un milione di euro di fondi statali. Miccichè avrà immaginato in questi giorni come sia una vera e propria follia ipotizzare un programma di promozione e valorizzazione del territorio auspicando un contemporaneo aumento dei flussi turistici per una Agrigento oggi sulla strada di una condanna al collasso idrico. E conosce gli effetti di una carenza idrica che viene da lontano e che ha prodotto l’emergenza crescente dell’agricoltura e delle altre categorie produttive.
Miccichè sa pure altri due fatti. Per l’analogo titolo, il capoluogo Palermo fu costretto ad impegnare nel 2018 risorse locali, attendendo tre anni per ricevere una prima tranche di quel milione di euro. C’è poi un particolare a dir poco curioso, che espone Agrigento ad un’ironia amara, se non al sarcasmo generalizzato che potrebbe derivarne da qui all’anno prossimo, quando è previsto lo start delle iniziative.
Il Comune ha vinto il titolo con un progetto integrato fondato sui 4 elementi “non riducibili l’uno all’altro” di Empedocle, il filosofo agrigentino che si gettò nell’Etna. Che sono fuoco, terra, aria e – appunto – acqua.