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Agricoltura

Siccità ed energia. Slow Food: “Crisi grano consegna territorio siciliano a multinazionali’

di Dario Di Gesù -





La siccità ha colpito l’agricoltura in  Sicilia, e in particolare la produzione dei cereali, con una crisi senza precedenti negli ultimi cento anni. Cali di produzione in alcune zone tra il 70 ed il 90%. Molte aziende non faranno nemmeno la trebbiatura.

Invece di prevenire crisi idrica e desertificazione, in nome della transizione e dell’”autonomia energetica” da Catania a Mazara del Vallo si incentiva la copertura con pannelli solari di centinaia di ettari di terreni, un tempo fertili e redditizi.

In Sicilia nei campi le spighe sono vuote. Il calo di produzione, in alcune aree non è inferiore al 70%. “La peggiore siccità dell’ultimo secolo è esacerbata da una rete idrica in condizioni pessime, con tubature rotte in tutta l’isola e dighe fuori uso. Nonostante questa situazione estrema, quel poco che si riesce a produrre si vende a 30 centesimi al kg (in media), un prezzo che non copre nemmeno i costi di produzione”.

A lanciare l’allarme è Slow Food Italia: in nome della transizione energetica, si specula sulla crisi e si ipoteca il futuro del territorio siciliano. Ci si scorda che l’agricoltura è il più antico custode della nostra identità. Perché questi pannelli, così importanti per produrre energie rinnovabili, vengono collocati un ettaro dopo un altro sui terreni agricoli? Perché non sono sulle discariche, sulle cave dismesse, sugli edifici civili, pubblici, industriali, commerciali, logistici, sui parcheggi?

“Noi non siamo solo un’impresa – afferma Marco Romano che gestisce l’azienda cerealicola Chibò e Barbarigo a Petralia Sottana in provincia di Palermo – Dobbiamo custodire un territorio per le generazioni future. Per questo non siamo disponibili a mollare tutto e a coprire i nostri terreni con i pannelli solari, ma molte aziende sono indebitate fino al collo e cedono perché sono messe di fronte a un bivio: da un lato un lavoro faticoso che non dà reddito, dall’altro una rendita facile e sicura”. Se si attraversa la Sicilia da Catania a Palermo, si vede scorrere un paesaggio violato, trasfigurato da ettari ed ettari di pannelli solari. I soggetti che li stanno installando sono fondi di investimento, società come la Engi, multinazionale francese che ha creato il più grande impianto agrivoltaico d’Europa tra Mazara del Vallo e Marsala, centinaia di ettari, per vendere l’80% dell’energia ad Amazon Italia.

“Se le politiche energetiche fossero integrate a quelle agricole e a quelle culturali, sociali, economiche, non si sarebbe mai arrivati a questa competizione drammatica e paradossale fra agricoltura e ambiente – sottolinea Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia – Se la politica avesse una visione del futuro, lavorerebbe per sostenere le aziende in questa fase critica; per ripristinare la fertilità del suolo in una regione che ha più del 50% dei terreni a rischio desertificazione; per tutelare la bellezza del paesaggio; per sostenere chi decide di restare e frenare la costante emorragia di giovani. La Sicilia, ma anche l’Italia tutta, deve scegliere se andare verso una produzione diffusa, sostenibile e locale o verso monopoli privati e una dipendenza sempre maggiore dall’importazione estera”.

“Abbiamo bisogno di transizione energetica ma anche ecologica, dobbiamo tutelare il nostro paesaggio e, come dice l’articolo 9 della Costituzione, la biodiversità, l’ambiente e gli ecosistemi – aggiunge Francesco Sottile, docente di Biodiversità e qualità delle colture agrarie all’Università di Palermo e referente scientifico biodiversità di Slow Food Italia – Le varietà siciliane di grano duro, spesso abbandonate per far posto a varietà commerciali con rese maggiori, riescono ad adattarsi meglio a condizioni climatiche estreme. Ci sono varietà tradizionali di ortaggi da aridocoltura, quasi dimenticate, che sanno attraversare un’intera stagione senza essere irrigate. Dobbiamo rigenerare suoli devastati da un’agricoltura industriale che non è mai stata sostenibile e lo è ancora meno oggi che l’acqua non c’è. Dobbiamo rivedere un intero modello produttivo e investire le risorse in modo diverso, cercando di sostenere gli agricoltori virtuosi che credono nei principi dell’agroecologia”.

Transizione non significa devastazione dell’ecosistema, e la sostenibilità non può prescindere dall’identità culturale e ambientale.