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Ambiente

Siccità, c’è lo stato di emergenza nazionale e la polemica politica

di Redazione -





di ANGELO VITALE
C’è lo stato di emergenza nazionale, per la siccità.
Con una settimana di ritardo rispetto a quanto auspicato ed atteso dal governatore Renato Schifani, il Consiglio dei ministri, su proposta di Nello Musumeci ora nel governo titolare della Protezione civile, ha dichiarato lo stato di emergenza valido per 12 mesi.
Stanziando pure 20 milioni di euro, a valere sul Fondo per le emergenze nazionali, che andranno ad aggiungersi alle risorse della Regione Siciliana per affrontare il deficit idrico. A Palazzo Chigi c’era pure Schifani, che ha subito ringraziato il governo per la conferma di uno “stretto rapporto di collaborazione” e per questo “primo” stanziamento.
Palazzo Chigi ha già “tutta la documentazione necessaria” per dichiarare lo stato di emergenza nazionale trasmessa dalla Regione e ora, probabilmente, ne monitorerà la realizzazione che -già era stato fatto capire nelle settimane scorse – non potrà che essere “differenziata”, per tempi e per tipologia di interventi.
Subito, forse, si potrà procedere all’acquisto di nuove autobotti nei Comuni in crisi e alla sistemazione di altri mezzi in un centinaio di enti locali, a dare avvio a circa 130 interventi di rigenerazione di pozzi esistenti, trivellazione di pozzi gemelli e riattivazione di quelli abbandonati, a procedere al revamping di una trentina di sorgenti, al potenziamento degli impianti di pompaggio e delle condotte, alla realizzazione di nuove condotte di interconnessione e bypass. Una lista lunghissima di luoghi e attività che, prima o poi, dovrà essere corroborata da un cronoprogramma.
Solo nei prossimi mesi, invece – e qui nessuno accenna a ipotizzare date, probabilmente prolungate oltre l’estate – potrà effettivamente essere fatto un passo in avanti sulla problematica strada della ristrutturazione e del riavvio dei dissalatori di Porto Empedocle, nell’Agrigentino, e di Trapani. Serviranno gare lunghe: da Palazzo Chigi, almeno per ora, sarà arrivata la conferma dell’assenza di deroghe sostanziali in materia ambientale e di appalti sopra soglia comunitaria.
Nessuna accelerazione, che pure il mondo dell’agricoltura aveva ipotizzato – L’identità ne scrisse durante le scorse settimane – per sburocratizzare procedure che impegnano mesi e mesi, se solo si prova ad immaginare un’inversione di tendenza sulle autorizzazioni per nuovi pozzi e laghetti in tutte le aree ove i campi hanno sete. Argomenti che sicuramente saranno stati trattati nei nove tavoli tecnici istituiti da qualche tempo negli uffici del Genio civile dei capoluoghi di ogni provincia, con rappresentanti del dipartimento delle Acque, dei Consorzi di bonifica, e dell’Autorità di bacino.
E che, se non verranno incanalati a qualche soluzione diversa, rimarranno lettera morta.
Terreno facile, intanto, la prima mossa del governo nazionale, per la polemica politica. Se i parlamentari del centrodestra plaudono, l’opposizione rilancia le abituali accuse.
Per il deputato dem Nello Dipasquale, “un risultato ridicolo”, i primi 20 milioni stanziati, che si affianca ai “400 milioni di euro del Pnrr persi nel 2023”, se non si vuole richiamare “i danni dell’ultimo ciclone di febbraio, 100 milioni, finora non compensati in alcun modo”.
In questo scenario, aspettando la concretezza del primo e più limitato degli interventi che la Regione Siciliana ha elencato a Roma, la dilatazione dei tempi, a distanza di 24 ore dalla riunione di Palazzo Chigi, non ha trovato una sia pur minima definizione da parte del governo regionale. E la prima vittima certa di questa dichiarata calamità nazionale è l’agricoltura dell’isola, i cui tempi non possono essere inquadrati in nessun atto amministrativo.
Il mese di aprile, auspicata soglia delle ultime possibili piogge in ausilio ai bacini e ai campi, è stato totalmente deludente: precipitazioni per 23 mm, la metà della media ventennale. In ginocchio la cerealicoltura, in gravissimo affanno la zootecnia. Le associazioni stimano danni già reali di 1 miliardo, che triplicheranno. Una certezza pure per la Regione, finora a bassa voce nei corridoi di Palazzo d’Orléans.