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Attualità

Santa Aituzza e il cantastorie: per Melo Zuccaro un amore infinito

Devoto come ogni Catanese quando parla di Sant'Agata ha gli occhi commossi che brillano. E la Civita vive con lui l'emozione

di Elisa Petrillo -





Come l’amato aspetta la persona amata così Catania si prepara a Sant’Agata. Un palpito collettivo inizia a vibrare nel cuore della città. Le strade si riempiono di un’atmosfera di riverenza, una miscela di tradizioni che intrecciano le trame di una storia secolare, fatta di fede profonda e fervente devozione. Tra queste viuzze, il racconto di chi ha respirato questi giorni fin da ragazzino.

È il cantastorie di Catania e dell’intera Sicilia, Melo Zuccaro, della Civita, che con la sua voce evoca immagini di un tempo in cui la tradizione non era soltanto un evento annuale ma il ritmo stesso dell’esistenza. Zuccaro, custode di aneddoti e leggende, è l’eco di una comunità che trova in Agata non solo una guida spirituale ma anche il simbolo dell’identità, tessuta attraverso generazioni. “Da bambino ricordo che mia madre il 4 febbraio, giorno della processione esterna o giro esterno – ci racconta Melo – quando il fercolo con le reliquie della Santa percorre i luoghi simbolo del suo martirio e della città, preparava i ‘ciciri a bagna pane’, ceci bolliti dentro pentoloni enormi, per offrirli ai devoti che seguivano il corteo. Centinaia di persone di fermavano davanti casa prendevano un piattino e la mamma lo riempiva con i ceci. Condivisione e di accoglienza che contraddistinguevano le famiglie di un tempo, soprattutto quelle più povere, come la nostra, che nonostante le difficoltà si metteva a disposizione”.

Un gesto semplice quello di mamma Angela, che coinvolgeva anche altre signore del quartiere, per dare tepore e ristoro ai devoti, infreddoliti lungo la processione, tradizionalmente accompagnata da temperature rigide. Ed è questo la spirito più profondo di una festa che parla di valori cristiani e di fede. Il primo dei comandamenti dice di “amare gli altri come se stessi”, come ha insegnato Gesù con la sua vita. Tradizione che risale ai primi del ‘900 e che continua ad essere tramandata dalla sorella 80enne di Melo. Tradizioni che si raccontano anche in poesie, lodi e canti come quello che oggi Melo Zuccaro porta alla Civita durante i giorni della festa: “Sant’Aita, Sant’Aita e misa ‘nda lu chianu cula spada in manu e varda la città e tutti i viddaneddi che scinninu a Catania ppi vidiri a San’Aita lu populu ca c’è. Cera u capu mastru supra l’avara ca sona la campana e passa pà città.

E tutti i cittadini chi fazzulettu all’aria ci sparunu a Sant’Aita e ciumbà ciumbambà”. “Sentivo declamare questi versi dalla nonna e poi dalla mamma – ci spiega – e oggi a distanza di quasi 100 anni, anche se non viene più cantato, fatta eccezione che nei quartieri, continua a suscitare grande commozione tra le persone più anziane che ne hanno memoria”. Un patrimonio immenso che si cerca di tramandare. Agata per i più piccoli, può essere esempio di vita. Come per Giuseppe Condorelli, 8 anni e che vive nella Civita. Dal primo gennaio, ogni giorno dopo aver studiato, ha costruito la sua candelora (nella foto) che con i cuginetti porterà in processione. Per lui Sant’Agata è la mamma che ti aiuta e non ti abbandona. Parole che pronunciate da un bambino hanno un valore smisurato: la spontaneità. In questo scrigno di ricordi scopriamo con Melo che nei primi del ‘900 c’era anche un altro inno dedicato alla Patrona di Catania conosciuto oggi da pochissimi: “Sant’Aituzza gluriusa era, li so biddizzi non li studiava e quannu nesci di la cammaredda pari ca nesci na lucenti stidda. Sant’Aituzza, evviva Sant’Aita”. “Questo canto me lo insegnò un attore catanese che a sua volta lo imparò dai suoi nonni”. Storie come finestre aperte su un passato ancora vivo, che si rigenera quando la città si stringe in un abbraccio per onorare la sua Protettrice.

“Se la festa la vivi con il cuore di bambino – conclude Melo Zuccaro – ci si sente ricolmi di speranza. Vent’anni fa ho scritto una canzone alle candelore, perché volevo lasciare alle future generazioni un mio piccolo contributo. Il canto dice “Quantu è cuntentu lu me cori quannu pi li strati viri i cannelori, ai catanisi fa ricurdari che Sant’Aituzza sa fistiggiari”. E come diceva mia madre nei momenti di sconforto, come la perdita di persone care o la mancanza di lavoro ‘Sant’Aituzza tu c’ha pinsari’”.