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Ambiente

PRIMA PAGINA-Dighe a secco e raccolti deserti. La siccità è anche burocrazia

di Redazione -





di CLAUDIA MARI- Dighe a secco e raccolti deserti. La siccità è anche burocrazia

La protesta degli agricoltori e di Coldiretti che si è tenuta martedì a Palermo prosegue e stavolta lo fa nei territori. Lì dove non piove da mesi e mesi e lì dove gli agricoltori hanno le terre che dovrebbero dare dei frutti.
Nei frutteti di Bivona gli agricoltori sono già al lavoro, anche se non è ancora tempo di raccolto, questo perché le pregiate pesche bianche, ancora non mature, cadono al suolo e diventano concime. E così i produttori rispondono alla siccità sacrificando l’89% della frutta, che cade e non è vendibile, per salvare le piante. Il motivo, spiega un produttore, è che la pianta della pesca soffre non solo della siccità attuale, ma le sue conseguenze si faranno sentire anche negli anni a venire.
In questa area dei monti sicani non piove da mesi: lo mostra il segno lasciato dall’acqua sui piloni della diga Castello. L’invaso contiene la metà del consueto volume d’acqua che, tuttavia, secondo le autorità locali risulta abbastanza per poter salvare il raccolto. Che però non può essere salvato perché la Regione ha bloccato l’uso di quell’acqua per l’irrigazione.
“Abbiamo una certa dotazione che va utilizzata per il potabilizzatore, poi c’è la parte di acqua sedimentata, che non può essere utilizzata, e resta quella che servirebbe per usi irrigui ma che è burocraticamente bloccata”. Per questo, davanti alla diga Castello, si sono uniti in protesta i produttori non solo di pesche, ma anche di ulivi vigneti, insieme ai sindaci del comprensorio.
Un incontro di protesta in cui sono state registrate anche tensioni: perché a rischio ci sono centinaia di aziende e gran parte dell’economia dell’area. Da qui, la richiesta alla Regione da parte di amministratori e agricoltori di avviare l’irrigazione immediatamente e sbloccare questo “stop burocratico”.
Non se la passano bene neanche gli agrumicoltori della Piana di Catania: anche lì non arriva più acqua. Perché si è ritirata una buona parte del lago Pozzillo, il bacino artificiale realizzato in provincia di Enna attorno alla metà degli anni ’50. Un impianto costruito appositamente per irrigare, con i suoi deflussi, la piana di Catania: un impianto che può contenere 150 milioni di metri cubi di acqua e che oggi a causa della siccità e delle condizioni ne conta appena cinque e mezzo.
Attorno al lago di Pozzillo gli interventi sono stati fatti: difatti è prevista tra circa due anni la fine dei lavori per il nuovo scarico di fondo, che andrà a sostituire il vecchio ormai bloccato dai sedimenti. Una operazione finanziata dai fondi del Pnrr per andare a raddoppiare la capacità di invaso del bacino. Ma ora, nel breve periodo, la preoccupazione più grande arriva dalla mancanza di piogge che scarseggiano da mesi. Una crisi che ha portato a scelte e sacrifici: sia per quanto riguarda l’autorità di bacino, sia, di conseguenza, per gli agrumicoltori della Piana. I primi, hanno preferito utilizzare la poca acqua disponibile per servire la provincia di Enna: il motivo è semplice.
Per la piana di Catania il servizio coprirebbe il fabbisogno irriguo solo per un giorno, mentre lo stesso quantitativo – di un milione di metri cubi di acqua – soddisfa il fabbisogno per Enna Sparacollo per circa un mese.
Altra scelta, altrettanto dura, per i produttori: le scarse risorse li mettono di fronte a un sacrificio e quindi la decisione di irrigare gli impianti più giovani a discapito di quelli vecchi.
Una perdita enorme per tutto il comparto per cui chiedono la sospensione “di tutto quello che hanno le aziende agricole” e quindi mutui, ma anche leasing, o cartelle. Un piccolo aiuto, per il momento di crisi attuale, a cui segue un’altra richiesta, quella della riforma dei consorzi di bonifica. Più lontana forse, rispetto al problema attuale, ma per cui i produttori non mollano.