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Agricoltura

Tutela ambiente esasperata, nessuna sostenibilità per le imprese: la pesca italiana muore

di Giuseppe Messina -





Sono oltre 1000 le domande di demolizione dei natanti depositate presso la Direzione generale della pesca a Roma alla fine dello scorso mese, un settore primario sempre più ridotto ai minimi termini: la pesca italiana muore.

Abbiamo già affrontato l’argomento dalle colonne di questo giornale, evidenziando come la Politica Comune della Pesca adottata nell’ultimo trentennio dall’Unione Europea sia stata devastante per l’economia ittica italiana. 

Al centro della nostra analisi, proprio la scelta del Ministero dell’agricoltura di pubblicare, lo scorso 17 luglio, il Decreto Direttoriale n. 319453, recante individuazione delle risorse e dei criteri per l’erogazione degli aiuti alle imprese di pesca che effettuano l’arresto definitivo dell’attività di pesca, in attuazione del Piano d’Azione dell’Unione Europea, che si pone come obiettivo, entro il 2030, la limitazione, fino allo zero, della pesca a strascico nel Mediterraneo. Oltre 1000 le domande di arresto definitivo dell’attività di pesca depositate entro il 29 settembre e, rispetto alla dotazione di circa 74 milioni di euro, significa che almeno 250  imbarcazioni saranno eliminate per sempre, che si aggiungono alle 220 di circa 8 anni fa. E il clima di sfiducia del mondo imprenditoriale legato alle attività di pesca resta altissimo. Questo la dice lunga sulle responsabilità istituzionali dei governi italiani e comunitari succedutisi negli ultimi trent’anni se la pesca italiana muore. 

Avere posto al centro delle scelte politiche nella pesca la tutela dell’ambiente a qualunque costo, dimenticando la sostenibilità economica e sociale, ha provocato il collasso produttivo e strutturale della flotta peschereccia italiana. L’obiettivo ambientale, senza il paracadute di politiche socio-economiche a sostegno, si è rivelato un feroce atteggiamento ideologico di condanna alla chiusura del settore a tutti i costi. Erano 20486 le imbarcazioni italiane operanti nel mar Mediterraneo nel 1992, ridotte a 12202 nel 2022 (fonte studio Cisl). Ed in un recente studio di settore, emerge come le imbarcazioni si siano ulteriormente ridotte al 31 dicembre 2023 scendendo a 11.678. L’annualità 2023 riporta una riduzione sia in termini di produzione che di ricavi tra il 7 e l’8%. Nonostante la pesante sforbiciata, lo strascico e la volante insieme rappresentano, ancora oggi, il 50% del totale dei ricavi nel settore della pesca in Italia ed il 30% del totale delle imbarcazioni. 

La verità è che l’Unione Europea ed il governo nazionale, che l’ha seguita a ruota negli ultimi decenni, ha perduto la bussola dimostrando di non essere in grado di coniugare la tutela ambientale con la difesa del lavoro e dell’impresa.

Invece di ampliare nel Mediterraneo le zone vietate alla pesca solamente alle flotte comunitarie e ridurre le giornate totali di pesca nell’anno, le istituzioni comunitarie e nazionali farebbero bene a tutelare l’attività produttiva e l’occupazione nella filiera ittica intervenendo con un accordo con tutte le flotte dell’Africa e del Medio Oriente operanti per disciplinare l’accesso alle risorse ittiche nel Mediterraneo. Ed anche, sui cambiamenti climatici e le alterazioni ambientali che hanno esposto la pesca, in un Mediterraneo che ha subìto l’innalzamento della temperatura, all’invasione delle specie aliene e alla diffusione degli agenti patogeni e virali, come cause, e non sole, della modificazione dell’ambiente marino.

Nella scorsa legislatura a Strasburgo, il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione per la ricostituzione degli stock ittici nel Mediterraneo, a firma del siciliano Raffaele Stancanelli, disattesa dalla nuova Commissione. Eppure essa contiene soluzioni percorribili sia nel rispetto dell’ambiente marino che della sostenibilità economica e sociale. L’approccio ideologico porta al disastro e l’Italia è destinata ad essere la vittima sacrificale nel 2030, quando il gambero rosso nelle tavole del nostro Paese non batterà più bandiera italiana.