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Attualità

Pesca e politica, in Sicilia non vanno a braccetto  

di Giuseppe Messina -





La pesca siciliana è orfana della politica. Tra pesca e politica, la prima è abbandonata da chi in democrazia è chiamato a decidere, come in questo caso, sulla testa dei poveri pescatori, vessati dai cambiamenti climatici, dall’Unione Europea che sfodera la scure per annientare il settore e dalla crisi strutturale amplificata da pandemia, guerre, inflazione, aumento dei costi energetici e dal carovita.

Ed è proprio la politica la grande assente: avara di idee e incapace di agire. A ragion veduta, finisce sul banco degli imputati, nella sua essenza di strumento democratico decisionale, nell’ambito del settore della pesca perché ha compiuto la più scellerata delle scelte: marcare visita. Come fanno gli struzzi che nascondono la testa sotto terra, ha puntato gli occhi sul facile consenso elettorale, ottenuto con clientela da mercatino rionale. Contributi elargiti a pioggia ad amici e conniventi per eventi e manifestazioni celati dalla valorizzazione di prodotti o territori ma, in fondo, destinati alla mera distribuzione di denari e nulla più. La ricerca del consenso elettorale a tutti i costi ha fatto precipitare vorticosamente verso il basso la classe politica, facendola rotolare nella becera mediocrità. In mancanza di uno scatto d’orgoglio, la politica, latitante nel settore della pesca, ha smesso di pensare ancor prima di agire, abbandonando la pesca siciliana al triste destino della chiusura per fallimento; provocando, con un effetto  domino, un importante impoverimento culturale, perché la pesca è storia, tradizione, consuetudine, radicamento territoriale, gesta, eroismo. 

Una perdita valoriale che va ben oltre l’apporto economico al Pil nazionale. La classe politica mostra interessi diametralmente opposti che denotano un’ aridità di idee e soluzioni che mortifica i pescatori e gli imprenditori ittici. Un senso di impotenza e sfiducia attanaglia gli operatori della pesca oramai da parecchio tempo. E diventa persino inutile il richiamo alle tante criticità che soffocano il settore della pesca, perché soluzioni non ne arriveranno. 

Eppure la pesca costituisce una risorsa importante per la Sicilia, la cattura vale oltre 220 milioni di euro, ma senza un piano straordinario per conferire innovazione al comparto, nella direzione della blue economy, è destinata a morire da qui a pochi  anni. Senza l’introduzione di strumenti tecnologici nel rispetto dell’ecosistema marino in una logica di sviluppo sostenibile, la pesca non ce la fa. L’intero comparto ittico siciliano conta invece 80 mila operatori e vale oltre un miliardo di euro. La fetta maggiore è assorbita dalle imprese di trasformazione e commercializzazione che lavorano soprattutto il prodotto estero, mentre quello locale vale meno del 25%. 

Risulta evidente lo sbilanciamento con i pescatori locali che subiscono la forte concorrenza estera. Non si è ridotto il consumo pro capite di pesce; al contrario, la massaia apprezza il pesce di qualità e acquista l’eccellenza offerta dal mar Mediterraneo attraverso la sapienza dei pescatori nostrani. Occorre facilitare la scelta all’atto dell’acquisto per identificare la provenienza del prodotto. Ma questo probabilmente è un concetto troppo complicato per la classe politica. Ed allora, a che serve il sovranismo, il Made in Italy, la tutela alimentare e la battaglia patriottica quando ci si gira dall’altra parte se si tratta di risollevare le sorti della pesca siciliana? Un disinteresse che accomuna tutti gli schieramenti politici, senza alcun distinguo tra destra e sinistra.  A ben poco serve sapere che anche i pescatori con le loro famiglie votano. A nessuno, tra i politici, importa sapere che gli imprenditori della pesca votano. É come se questo consenso valesse meno di quello proveniente da altri settori economici. Quando si tratta di affossare la pesca e la sua millenaria storia, destra e sinistra vanno a braccetto anche a Roma. Guai a legare il consenso al favore personale, pratica disdicevole che va condannata sempre. Ci riferiamo al sano legame eletto-elettore ed alla funzione nobile della politica che deve trovare soluzioni e risposte per il benessere della collettività e dei settori produttivi. E la pesca è settore primario e quindi produttivo per definizione. Colato a picco non per avaria dello scafo ma per disinteresse politico.