Palermo, la città ferita: il sangue di Paolo Taormina e il grido di una comunità. Fermato un giovane
Una città ancora una volta inginocchiata davanti al sangue dei suoi figli. Paolo Taormina, 21 anni, è morto nella notte tra sabato e domenica, colpito alla testa mentre cercava di fermare una rissa nel cuore della movida palermitana, in piazza Spinuzza, a pochi passi dal Teatro Massimo. La violenza è esplosa davanti al locale “O Scruscio”, gestito dai suoi genitori, trasformando un sabato sera qualunque in un nuovo capitolo di dolore per Palermo.
Il presunto assassino è Gaetano Maranzano, 28 anni, del quartiere Zen. Fermato dai carabinieri, avrebbe confessato l’omicidio: avrebbe riconosciuto Paolo, accusandolo di aver in passato importunato la sua fidanzata. Una vendetta assurda, scatenata da rabbia e follia. Gli investigatori stanno verificando la sua versione.
La notte del sangue e il grido di una madre
Sul selciato, macchie di sangue e fiori. E la voce spezzata della madre, Fabiola Galioto, che urla: “Come si fa a sparare in testa a un ragazzo? Vita mia, come faccio a vivere?”. Scene di disperazione che inchiodano una città intera davanti al proprio fallimento educativo e civile.
Appena pochi mesi fa, la stessa madre aveva scritto su Facebook, dopo un’altra strage giovanile: “Dovete buttare le chiavi di chi uccide”. Parole che oggi suonano come una terribile profezia.
Il dolore degli amici: “Non si può spegnere il sole con un colpo di pistola”
Paolo era un ragazzo amato, sorridente, cresciuto tra il lavoro dei genitori e i sogni di una vita normale. Gli amici lo chiamavano “Paolo l’americano” per via di un periodo trascorso negli Stati Uniti. “Sempre gentile, educato, mai una parola fuori posto”, scrive Anna Maria.
C’era in lui una ferita che non si era mai rimarginata: quella per la morte del cugino Simone Glorioso, giovane promessa del pugilato morto in un incidente nel 2023. “Sempre con me, cuore mio”, scriveva Paolo in uno dei tanti post a lui dedicati.
Palermo in lutto: rabbia e vergogna
Il sindaco Roberto Lagalla si è recato sul luogo dell’omicidio, accolto da contestazioni. “Palermo si è svegliata con una ferita profonda – ha dichiarato –. Un ragazzo è stato ucciso per aver scelto di non voltarsi dall’altra parte. È inaccettabile”. Il primo cittadino ha annunciato il lutto cittadino nel giorno dei funerali e la sospensione delle attività del Teatro Massimo e del Teatro Biondo, in segno di cordoglio.
Ma Lagalla sa bene che la rabbia dei cittadini non si placa con i gesti simbolici: “Non si può militarizzare la città, serve un impegno collettivo per colmare il vuoto educativo e morale”.
Cracolici: “Convocherò l’Antimafia allo Zen”
Il presidente della commissione regionale Antimafia, Antonello Cracolici, ha parlato di “mattanza che va fermata”: “Troppe armi tra i giovani, troppa rabbia che diventa piombo. Convocherò la commissione allo Zen: quel quartiere deve reagire, non si può restare silenti”.
Dello stesso tenore l’intervento di Michele Catanzaro, capogruppo Pd all’Ars: “Non possiamo restare a guardare. Chiederò una seduta straordinaria all’Ars sul tema della sicurezza e del disagio giovanile. La politica ha il dovere di agire, non di piangere”.
Le fiaccolate e la marcia del silenzio
Questa sera alle 21 partirà una fiaccolata dal Politeama fino al Teatro Massimo. “Vogliamo dire basta a una città senza deterrenza, senza controllo, senza sicurezza”, spiegano gli organizzatori.
Domani, invece, Cgil, Cisl, Uil e Acli scenderanno in piazza per una “marcia silenziosa per fare rumore”, da piazza Verdi alla Prefettura. “È il momento di reagire insieme – affermano i sindacati –. Palermo è soffocata da un degrado sociale che non è più tollerabile”.
Una città sospesa tra paura e speranza
Dietro le parole ufficiali e i cortei c’è il volto di una Palermo che non sa più riconoscersi: una città spaccata tra il desiderio di riscatto e l’abitudine alla tragedia.
Ogni omicidio diventa una ferita collettiva, un grumo di paura che si posa sulle pietre antiche dei suoi vicoli. Ma dentro quella paura, come una brace che non si spegne, resta la voce dei ragazzi che ancora credono nella bellezza, nella gentilezza, nel coraggio di “non voltarsi dall’altra parte”.
Paolo Taormina, a soli ventun anni, lo aveva fatto. E per questo è morto.
Palermo gli deve almeno una promessa: che la sua morte non sia vana.