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Nuove generazioni – L’integrazione? “È sempre più complicata”

di Redazione -





a cura di GIUSEPPE RAFFA*– Le nuove generazioni hanno scelto una vita diversa, sempre più “spericolata” e “piena di guai. Solo che al “Roxy bar” citato nel celebre “pezzo” del 1983 preferiscono le piazze e i vicoli, dove stanno quasi sempre per conto loro, si riuniscono in gruppi chiusi, coesi, una specie di primo passo verso la criminalità e le baby gang. Sono i giovani stranieri di seconda e di terza generazione; hanno tra i 15 e i 20 anni. Moltissimi di loro sono nati da noi ma non si sentono italiani. Dei nostri usi, costumi, cultura e regole sanno poco, in alcuni casi nulla. Non sono né carne e né pesce. Si sentono lontani sia dai Paesi dei padri e dei nonni, che da quello che li ha accolti e li sta crescendo, l’Italia. Inclusi a metà e divisi alla meta anche dai pari età italiani. Con i quali condividono una sola cosa, anzi due: l’assenza degli adulti di riferimento e la violenza come modello di vita. Arrabbiati e aggressivi. Come quelli che le forze dell’ordine hanno tratto in arresto a Catania e a Palermo in una recente operazione contro le baby gang italiane e straniere.

A Vittoria, la notte di San Silvestro, una festa privata sarebbe stata interrotta dalla presenza invadente di numerosi coetanei stranieri. Protagonisti gruppi di stranieri di seconda e di terza generazione, che non si riconoscono come comunità locale. Non ci sono dubbi: nelle nostre città c’è un problema di ordine pubblico che riguarda anche i minori stranieri. Lo attesta il sorpasso fatto registrare nel 2022 dal numero degli arresti dei ragazzi non italiani rispetto ai coetanei autoctoni. Che fare? Servono più controlli ma soprattutto virtuosi processi di integrazione e di inclusività. Ne è convinta anche la presidente del tribunale dei minori di Bologna, Gabriella Tomai: ”Dobbiamo non pensare più alla semplice accoglienza dei giovani immigrati ma ad una condizione della vita di tutti i giorni. Rieducarli ed inserirli”. In Sicilia qualcosa si è mosso. Il Governo Schifani ha messo in campo due progetti a supporto dei giovani stranieri: Prisma L’Italiano, la strada che unisce. Esperienze positive ma concluse e archiviate. “Si è stranieri da tutte le parti”, sosteneva John Henry Newman, teologo e filosofo anglosassone, tra i padri della moderna pedagogia interculturale. La pedagogia interculturale, ecco cosa serve. La branca della disciplina dell’educazione che valorizza le diversità, le considera importanti opportunità di arricchimento personale e professionale, di sviluppo delle abilità di dialogo, di studio e di lavoro con gli altri, a supporto di visioni originali di interpretazione e di costruzione del futuro. Gli usi, i costumi, le abitudini di mondi sconosciuti hanno la capacità di portare alla ribalta i valori delle culture di appartenenza, sottolineandone pregi e difetti, sollecitando l’apprendimento di tolleranza, rispetto dell’altro.

Ma servono anche più educatori, ‘peer educator’; incrementare i mediatori culturali. E poi? Mettere mano ad un piano d’inclusione straordinario che coinvolga le amministrazioni locali, la chiesa, l’associazionismo, lo sport, le famiglie straniere. Perché i genitori sono importanti; la famiglia è la radice di tutti noi. Privi dell’appoggio dei genitori, abbandonati dagli adulti di riferimento, ai giovani stranieri non rimane altro che apprendere per imprinting, che equivale ad impregnarsi di sottocultura para-mafiosa fondata sulla violenza di strada e sulla sopraffazione tout court. Incontrarli ed educarli significa impedire che accada.

*Pedagogista, coordinatore ambulatorio antibullismi Asp Rg