Manlio Messina : “Emarginato da Fratelli d’Italia , ma non dalla mia coscienza”
La notizia delle dimissioni di Manlio Messina da Fratelli d’Italia è arrivata nei giorni scorsi come un colpo di scena annunciato. Un epilogo che prende forma dopo mesi di silenzi, voci, indiscrezioni giornalistiche e una crescente distanza tra l’ex assessore regionale al Turismo e il suo partito di appartenenza. Un addio amaro, sofferto, che Messina ha motivato con una lunga nota pubblica in cui chiama in causa stampa, magistratura e soprattutto la classe dirigente di Fratelli d’Italia, rea — a suo dire — di averlo marginalizzato nel momento più delicato della sua carriera politica.
«Da più di un anno — scrive il deputato nazionale — la stampa alimenta unilateralmente il sospetto di condotte illecite, illegittime o eticamente discutibili a me attribuibili, nonostante l’assenza di qualsivoglia elemento di riscontro». A sostegno della sua dichiarazione, Messina sottolinea di aver ricevuto il 29 luglio scorso una comunicazione ufficiale dalla Procura di Palermo, nella quale si certifica che non è indagato nel procedimento penale che ha coinvolto alcuni esponenti del suo stesso partito.
Ma ciò che lo ha spinto alla rottura definitiva, secondo quanto afferma, non è stato solo il fango mediatico: «Ho condiviso in questi anni con i vertici nazionali del mio partito le mie preoccupazioni sul garantismo — spiega — che non è una richiesta d’immunità, ma una battaglia politica. In risposta, ho potuto solo registrare un lento, ma costante processo di emarginazione». Un’ostracizzazione, afferma, resa ancora più amara dal confronto con altri dirigenti del partito coinvolti in situazioni, a suo dire, ben più gravi.
Il sospetto, insomma, è che la gestione interna di Fratelli d’Italia applichi due pesi e due misure. Da qui il giudizio netto: «Nel mio caso si è preferito dubitare della mia condotta. O peggio: si è deciso che l’immagine pubblica del partito valeva più della tutela del singolo e del principio di garantismo».
La lettera si fa poi personale, quasi intima: «Scrivo non per rancore, ma per dignità. La mia vita politica, a cui ho dedicato quasi tutta la mia esistenza, è stata trascinata nella pubblica gogna. A chi mi ha infangato, rispondo con la forza della mia coscienza. A chi mi ha voltato le spalle, rispondo con un sorriso amaro, ma sincero».
Il riferimento è chiaramente diretto anche ad alcuni compagni di partito che, nel corso degli ultimi mesi, avrebbero preferito il silenzio alla solidarietà. Ma Messina trova ancora il modo per ringraziare chi gli è rimasto accanto: «Il vostro sostegno è la prova che la mia battaglia non è vana. E che forse, in fondo, non sono solo».
In chiusura, annuncia la possibilità di intraprendere azioni legali: «Valuterò con il mio legale tempi e modalità per tutelare in ogni sede la mia onorabilità».
Un caso, quello di Manlio Messina, che lascia aperti molti interrogativi su come il sistema politico — e mediatico — gestisca la linea sottile tra sospetto e verità. Un caso che, come egli stesso sottolinea, potrebbe non restare isolato.