Leggi:

Cultura

Laurea Honoris Causa allo scrittore Roberto Alajmo: le contraddizioni della Sicilia

"Quando si parla della Sicilia, qualcuno fa analisi e diagnosi ma il paziente se ne frega e il medico dopo lo segue a ruota. Un Intellettuale o uno scrittore ha mezzi limitati"

di Elisa Petrillo -





“Roberto Alajmo ha saputo rappresentare la vitalità e la contraddittorietà di Palermo e della Sicilia tra norma ed eccezione, luci ed ombre”. Sono queste le parole iniziali che si leggono nella motivazione della laurea magistrale honoris causa in Italianistica conferita allo scrittore palermitano, dal rettore dell’università di Palermo, Massimo Midiri. Giornalista del TGR Rai Sicilia, drammaturgo e docente universitario, il suo stile unico ha caratterizzato la sua opera fin dagli esordi negli anni Ottanta, dando vita a narrazioni analitiche e taglienti. Cosa significa aver ricevuto questa laurea honoris causa? “Un riconoscimento molto significativo da parte della mia città, che valorizza il legame profondo che ho con il luogo dove sono cresciuto e che ho spesso esplorato nelle mie opere”. In che modo la Sicilia e la sua cultura hanno influenzato le sue opere? “Se tu nasci e scrivi in Sicilia, difficilmente potrai prescindere da questo habitat in cui coltivi la tua scrittura, non è un posto indifferente per fortuna, riesci a costruire qualcosa che non è provinciale ma universale. Quando Leonardo Sciascia racconta la piazza di Regalpetra è il mondo che descrive non la realtà di un piccolo paese dell’Isola”.

Come si è evoluta la sua voce narrativa nel corso degli anni? “Dopo i furori dei 20 anni una cosa che ho capito è che prima di sovvertire qualsiasi regola devi impararla, metabolizzare e applicarla. Solo in un secondo momento puoi stravolgerla e sono convinto che uno scrittore o artista deve stare un passo avanti rispetto al suo pubblico, non due se no rischia di non farsi seguire più e neanche a fianco o addirittura indietro perché significherebbe solleticare gli spiriti conservativi. Credo che questo sia il segreto e poi portare il tuo pubblico in un terreno che non è quello consueto e spingerlo a chiederti ‘“’perché mi hai portato in questo posto?’”. Hai rappresentato la vitalità e la contraddittorietà di Palermo e della Sicilia. Quali sono gli aspetti più sfidanti nel catturare questi contrasti in letteratura? “Quando si parla della Sicilia, magari qualcuno fa analisi e diagnosi ma il paziente se ne frega e il medico dopo lo segue a ruota. Un Intellettuale o uno scrittore ha dei mezzi limitati e ancora di più in una società come in quella in cui viviamo il pulpito dello scrittore è sempre più risicato e per quanto possa essere autorevole o le sue idee originali e risolutive, non è più ascoltato, perché si solleva su un tappeto di altre voci meno qualificate ma che fanno rumore. Io stesso ho una scarsa propensione ad intervenire sulla politica culturale e sulla politica in generale. Del resto c’è talmente tanta gente che grida e io non saprei farlo e in ogni caso, non sarei ascoltato. Tacere è sempre meglio, ti fa risparmiare il fiato”.

La sua esperienza nel giornalismo come ha influenzato l’approccio alla scrittura? “Il giornalismo è stata un’ottima palestra rispetto alla letteratura che è legata all’agonismo, la maratona, e mi ha insegnato un dono fondamentale: la sintesi. Lavorando per la radio e la televisione devi raccontare tutto il mondo in un minuto e mezzo di servizio di telegiornale o radio. Ovviamente questo è illusorio perché se vuoi capire certe cose devi andare oltre, ma è un buon servizio perché non bisogna abusare del tempo e dell’attenzione del lettore”. Quali consigli daresti agli scrittori emergenti? “Quando faccio lezione dico sempre che la scrittura è un’ottima auto terapia, una passione straordinaria ma non è detto che possa essere un lavoro a tempo pieno. Gli scrittori che possono vivere soltanto di questo in Italia sono solo una decina e poi c’è una fascia di mezzo che dà lezioni di scrittura o insegna. Poi se la scrittura diventa qualcosa di più tanto di guadagnato. Tutto si risolve come recitava uno slogan degli anni 70 ‘il pane e le rose’, l’importante è sapere che le rose si comprano dal fioraio e il pane al panificio”. Progetti futuri? “Continuo a scrivere e quando lo faccio sono piuttosto veloce, il giornalismo in questo mi è servito a non perdere tempo però vorrei lasciare che nei prossimi anni la vita prevalga. Mi piace scrivere e viaggiare e la vita è quella che mi è mancata finora”