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Ambiente

L’allarme degli industriali: “Senza impresa l’Isola arranca”

I vertici nazionali di Confindustria, Carlo Bonomi, e di UnionCamere, Andrea Prete, analizzando lo stato dell'economia siciliana. E danno le ricette di guarigione

di Redazione -





di ANTONIO SCHEMBRI – Una crescita annua dell’1,3% nel 2023, analoga a quella fatta registrare dal Pil nazionale e un andamento delle attività d’impresa infiacchito dal calo della domanda interna ed estera della Sicilia. È il quadro che emerge dall’ultimo monitoraggio della Banca d’Italia sulla congiuntura economica siciliana. E che adesso dovrà tenere conto degli effetti prodotti dagli ultimi squilibri internazionali, come la crisi di Suez. Un indebolimento registrato soprattutto dalla produzione industriale e associato a una diminuzione delle esportazioni di merci, sia per la componente petrolifera sia per il complesso degli altri settori. Ma anche dal settore delle costruzioni che, specie per l’edilizia residenziale, fa segnare una riduzione delle ore lavorate per via della riduzione degli incentivi fiscali. Dal canto suo, il terziario, dopo il netto recupero del 2022 seguito allo stop delle restrizioni pandemiche, mostra adesso una crescita attenuata.

A frenare l’economia siciliana è inoltre l’aumento del costo del credito, tradottosi in una minore domanda di nuovi prestiti e in una lieve diminuzione dei finanziamenti alle imprese più piccole e a quelle attive nel settore dei servizi. Migliorata, invece l’occupazione nell’ambito del lavoro dipendenti, mentre nel settore privato non agricolo, le assunzioni, basate in generale su contratti a tempo determinato, sono state trainate soprattutto dal settore turistico. I raffronti 2022- 2023, fatti dall’Osservatorio economico di Unioncamere Sicilia indicano per il 2023una crescita del numero delle imprese isolane di 2.488 unità (saldo fra 20.571 nuove iscrizioni in registro e 18.083 cessazioni, +0,52%). Guida la classifica delle città Catania, con 875 nuove attività, seguita da Palermo (+836) e Ragusa (+411). Ultima Enna, unico capoluogo con saldo negativo (-24). Riguardo all’export, gli aumenti annui più rilevanti sono stati conseguiti nelle province di Trapani (112 milioni contro 75,5 del 2022), Palermo (93 milioni contro 73), Agrigento (81,9 milioni contro 55,1), Enna (8.6 milioni contro 3,8) e Catania (598 milioni contro 526). Mentre si conferma il crollo delle esportazioni di prodotti petroliferi raffinati: in provincia di Siracusa, si è passati da 3 miliardi e 7 milioni del 2022 a 2 miliardi e 301 milioni dello scorso anno. Dati eterogenei, che comunque non scalfiscono un concetto chiaro da tempo: il territorio e il tessuto imprenditoriale della Sicilia costituiscono una grande opportunità per il Paese soprattutto se si investe sulle infrastrutture energetiche. Urge però metterlo in condizione di lavorare bene per sfruttare le potenzialità di hub energetico dell’isola. “Questo non sarà possibile se non si risolve l’atavica incapacità di semplificare la burocrazia” ha ribadito Andrea Prete, presidente nazionale di UnionCamere durante un convegno a Palermo sulla crisi dell’impresa.

“L’Italia – dice Prete – ha saputo reagire alla crisi energetica causata dal conflitto russo ucraino; oggi però siamo dipendenti dall’Algeria, che rifornisce quasi la metà del nostro fabbisogno di gas. Dobbiamo perciò investire sulla green economy; e per farlo sono decisive norme che semplifichino le procedure autorizzative”. Il tema della competitività delle imprese è centralissimo.

A rimarcarlo è stato il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: “Dopo la loro crescita a doppia cifra nel 2021 e nel 2022, gli investimenti in Italia si sono azzerati nel 2023, mentre nel mondo i fattori di competitività si sono elevati ancora di più. La soluzione non sono i soldi pubblici per assumere, ma regole che stimolino gli investimenti per agganciare le transizioni energetica e digitale”. Il dato della UE, indica che per realizzare il piano Fit for 55 serve un investimento complessivo di 3.500 miliardi. L’Italia ne dovrebbe spendere 650 ma il PNRR, prevede e assegna a questi due ambiti i 65 e i 70 miliardi. “Circa 580 miliardi sarebbero a carico di famiglie e imprese. Come ce la si fa? Senza industria non c’è né Europa né Italia né, tantomeno, Sicilia”.