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La riforma delle Province si ferma sul nodo stipendi

di Redazione -





di CLAUDIA MARI

Il testo della riforma che reintrodurrà in Sicilia l’elezione diretta nelle Province, ridando vita agli enti nella versione tradizionale soppressi da Crocetta nel 2015, è tornato ieri a essere discusso nella Sala d’Ercole.
Un ping pong che ormai va avanti da settimane ma che torna al mittente, perché, spiega il presidente della Commissione Affari Istituzionali, Ignazio Abbate: “La Commissione ha preso atto che tutti gli approfondimenti necessari sono già stati svolti, con giuristi e docenti di diritto. Quindi abbiamo rinviato la riforma in Aula”.
E in Aula è tornata. Il nodo che però torna a tenere banco all’Assemblea siciliana è quello sui compensi dei futuri presidenti, assessori e consiglieri di provincia. La vulgata parlamentare da mesi indicava l’equiparazione dello stipendio dei presidenti della Provincia a quello dei sindaci dei Comuni capoluogo, che proprio lo scorso anno si sono visti aumentare la busta paga in maniera significativa. “Operazione al momento impossibile – ha spiegato infatti il presidente della commissione Affari Istituzionali – perché non c’è la copertura finanziaria” per poterla attuare. Le buste paga dei primi cittadini sono state aumentate appena un anno fa.
E adesso, almeno nel caso delle grandi città, sfiorano il compenso del presidente della Regione (circa 14 mila euro lordi al mese). Difatti, il testo sulla riforma delle Province siciliane prevede compensi molto più bassi per i dirigenti, rifacendosi alla norma nazionale che fissa per i futuri presidenti delle Città metropolitane di Palermo e Catania uno stipendio di 6.972 euro lordi al mese e per quello di Messina a 5.784 euro al mese. In questo caso cambia poco a livello strutturale per queste istituzioni, visto che le province andranno a sostituire le tre città metropolitane. Per le altre cinque province minori, invece, i compensi per i presidenti non supereranno i cinquemila euro al mese, non si andrà sopra i 2 mila al mese per gli assessori e si rimarrà tra i 1.200 e i 1.500 euro per i consiglieri a gettone.
Del resto, l’investimento della Regione per la riforma delle province è di cinque milioni e 700 mila euro, cifra che non prevede quindi l’aumento degli stipendi per i futuri dirigenti. E se è vero che nel Ddl è previsto un possibile aumento dei compensi subito dopo le elezioni provinciali, è altresì vero che l’istituzione regionale non stanzierà un budget adeguato a tale scopo.
Pertanto, spiegano dalla Commissione Affari Istituzionali, ogni presidente di provincia – nel caso – dovrà trovare i fondi necessari all’aumento dei compensi (suoi e dei colleghi) nel proprio bilancio provinciale. Un’operazione difficile, visto e considerato che le nuove poltrone saranno in totale oltre 330. In linea di massima all’Ars, tranne che per i grillini, tutti i partiti si dicono favorevoli al ritorno delle Province.
Tuttavia, il voto dovrebbe essere segreto, pertanto tutto può accadere. E sembra proprio essere così, perché in aula, ieri, è partita la rappresaglia: dieci deputati su 13 di Fratelli d’Italia sono risultati assenti nell’aula dell’Ars riunita per affrontare la riforma.
I tre presenti erano il capogruppo Giorgio Assenza e i parlamentari Marco Intravaia e Nicola Catania. La causa dell’assenza si trova nella bocciatura della scorsa settimana, da parte del Parlamento della Regione, della cosiddetta norma “salva-ineleggibili” a sanatoria della posizione di quattro deputati (tre di Fratelli d’Italia e uno dell’opposizione) nei confronti dei quali sono in corso giudizi nei Tribunali di competenza a fronte di ricorsi presentati dai primi dei non eletti due anni fa. Ma non solo, in Aula M5s e Pd hanno contestato il ritorno all’Ars della riforma sostenendo che il ddl doveva essere riscritto all’ordine del giorno dopo il rinvio in Prima commissione e per regolamento poteva rientrare in aula dopo quindici giorni e non sette come è avvenuto. A rispondere alla contestazione il presidente Gaetano Galvagno, che ha ricordato di aver comunicato il ritorno nella data stabilita senza alcuna osservazione da parte dei deputati. La discussione è accesa e le premesse ci dicono che durerà tutta la settimana. “Questa legge, senza risorse per i servizi, non servirà ai cittadini, è solo un poltronificio”. Ha affermato il capogruppo del M5S all’Ars Antonio De Luca, dichiarazione che preannuncia il sentimento della discussione dei prossimi giorni.