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Intervista a Giuseppe Raffa: “Un piano Marshall educativo contro la violenza giovanile”

Profondo consocitore del mondo giovanile e critico di un sistema genitoriale che sta fallendo, il pedagogista siciliano traccia la sua analisi sui gravi fatti di questi giorni

di Salvatore Cannata -





Giuseppe Raffa è autore di libri e pubblicazioni, responsabile dei servizi pedagogici dell’ASP7, estensore di proposte legislative di lotta al bullismo. Offre la sua lettura sulle vicende di questi giorni nel Palermitano.

Dottore Giuseppe Raffa, perché due morti di ventenni davanti ad una discoteca nel giro di un mese? Perché tanta violenza dove dovrebbe esserci solo divertimento?
Non c’è un problema legato a Palermo o Catania o chissà dove. L’emergenza giovanile corre in tutta Italia, l’aggressività si respira nell’aria. L’avvertiamo dappertutto: in strada, al lavoro, in casa. Sugli schermi dei device. Insomma, siamo circondati dalla violenza. Ed è sotto gli occhi di tutti un aumento dei comportamenti aggressivi con sempre più protagonisti i nostri ragazzi. La società vive un momento di crisi e transizione in cui c’è perdita delle certezze e un ribaltamento dei valori come se oggi contassero solo quelli individuali e non quelli comuni e collettivi. E questo è alimentato dai social e dalla rete, dove trionfa l’individualismo. In crisi sono le relazioni vere a favore di quelle virtuali. Sono crollati i punti di riferimento. Colpa delle famiglie. Questo provoca nei ragazzi o un’apparente quiescenza pronta a sfociare in comportamenti contro se stessi -l’alcol, il cutting- oppure essere violenti verso gli altri. E dietro si cela l’incapacità di immaginare un futuro e costruire relazioni

Scrivono sui social che si beve e ci si fa per darsi un tono e poi si perde il controllo. E’ così?
Il disagio e la vulnerabilità dei giovani, alimentate da un narcisismo esagerato e una tecnologia che produce ansia, vengono esasperate da droghe, alcol e ansiolitici. Nella società della performance, come la chiamano Maura Gancitano e Andrea Colamedici, si è formata una dimensione ludica di tutto ciò che è potenzialmente nocivo, considerandolo accettabile e senza conseguenze. L’errore che esistono sostanze che non fanno male, ha aperto la strada a una condiscendenza allo sballo e ad uno stravolgimento verso il ‘se ideale’ che i social hanno drammaticamente amplificato. Inoltre, i genitori tendono a normalizzare le bevute dei figli e giustificarli che nei week end possano dormire tutto il giorno senza immaginare che potrebbero avere assunto droghe o abusato di alcol. Tutto questo riconduce le colpe a genitori dimentichi, che si pongono simmetricamente alla pari dei ragazzi, che giustificano tutto e dicono sempre di sì.

C’è chi scrive che la colpa la anche di serie tv che inducono i ragazzi a fare cose fuori da ogni regola.
Le fiction certamente influiscono su molti ragazzi ma devono essere privi delle famiglie. Perché con una buona educazione, con un padre che consegni principi di responsabilità e giustizia, non c’è Gomorra o Suburra che tengano. C’è rispetto dell’altro, c’è l’educazione che fa da protezione nei confronti di tutto ciò che i ragazzi vedono e vedono fare. E’ chiaro che le famiglie devono immettere lo spirito critico di cui i ragazzi devono nutrirsi quando assistono a determinati spettacoli televisivi. Il dibattito riguarda anche la musica trap, canzoni omofobe, contro le donne, al limite del bullismo. Vanno spiegate ma devono farlo i genitori. Occorre un’alfabetizzazione affettiva per far si che i ragazzi possano digerire quello che vedono e sentono e non far propri i modelli negativi. Ma il problema è il padre in crisi, amicone, assente sui principi; la madre che non consegna la chiave d’accesso all’affettività. E i giovani anaffettivi, anassertivi, attaccano senza ritegno
Chi sono oggi i 20enni, le vittime o gli artefici del fallimento delle regole?
La generazione Z ma anche la generazione Alfa, sono giovani aggressivi, che fanno bullismo. Che se la prendono con i più deboli. SeImmersi in quello che viene chiamato post narcisismo, come spiega lo psicologo Matteo Lancini. Pensano solo a se stessi perché vivono in una società che estremizza il se. I bambini non crescono più secondo le aspettative ideali ma si chiede loro di assecondare la fragilità dell’adulto, di essere ricettivi rispetto le nostre esigenze affettive. Il messaggio è ‘essere se stessi ma in relazione a qualcun altro’ che siano i genitori, la scuola, la società. Si arriva all’adolescenza senza modello identitario e la sparizione diventa l’unica via davanti al dolore.
Tutta colpa delle famiglie, delle istituzioni che dovrebbero intervenire con un piano Marshall educativo che coinvolga le famiglie da assistere, supportare, informare dei codici educativi. Occorre la collaborazione con le scuole. Ma servono aperte, disponibili a dialogare con le esperienze esterne.