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Detenuti in rivolta nel carcere di Agrigento. Per i sindacati è solo “la punta dell’iceberg”

Le organizazioni degli agenti di polizia penitenziaria, invocano più baschi azzurri negli istituti pentitenziari

di Salvatore Cannata -





La situazione nelle carceri siciliane, come già scritto da questo giornale, è davvero critica: due giorni fa, il punto più alto di questo malessere: la rivolta nel carcere di Agrigento. Sedata a fatica, con tensione fra detenuti in ribellione e agenti della polizia penitenziaria e scontri per fortuna senza gravi conseguenze. Il motivo di tutto questo – ma solo quello contingente – è la mancanza di acqua calda. Contingente perché in quel carcere (che cinque anni fa una delegazione del Partito Radicale andò a visitare parlando poi di “Guantanamo” per descriverne le condizioni) i problemi sono parecchi di più della mancanza di acqua calda. Gaetano Agliozzo, segretario della Funzione pubblica Cgil Sicilia, non ha dubbi: “Quello che è successo ad Agrigento è solo la punta d’iceberg di una situazione pessima nelle carceri siciliane. Che da tempo denunciamo ma che continua senza interventi che la risolvano. Tutto il sistema carcerario in Sicilia fa acqua e che chi ne paga dazio non sono solo i detenuti ma soprattutto gli agenti di polizia penitenziaria, costretti a vivere situazioni come quella di due giorni fa”. Dove c’erano bastoni branditi, acqua tirata contro che i detenuti si erano procurati dai servizi igienici con ogni tipo di recipiente e persino getti di olio bollente. Nel carcere ‘Pasquale Di Lorenzo’ non è stato facile ripristinare la calma. Una protesta veemente, prendendosela pure con polizia e carabinieri che avevano circondato il penitenziario. La situazione, è tornata alla normalità con l’arresto di 9 detenuti accusati di sequestro di persona, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato, dopo avere controllato i filmati dei sistemi di videosorveglianza.
“Viviamo una costante carenza d’organico – spiega a L’Identità Gaetano Agliozzo – Mancano mille agenti rispetto al necessario nelle ventisei carceri siciliane. Chiediamo risorse per venire a capo di situazioni complicate. Il ministero degli Interni non può ignorare una situazione difficilissima. E vale per tutti gli istituti penitenziari siciliani. Io capisco il disagio dei detenuti anche se, ovviamente, certi episodi sono da condannare e censurare senza se e senza ma; nelle carceri siciliane si vive malissimo”.
“Anche questo è un evento critico annunciato”, ha detto a muso duro il segretario generale del SAPPe – il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria – Donato Capece. “A questo hanno portato questi anni di ipergarantismo nelle carceri dove ai detenuti è stato permesso di autogestirsi con provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, con detenuti fuori dalle celle tutto il giorno, nei corridoi delle sezioni”. “E queste – ha detto pure – sono anche le conseguenze di una politica penitenziaria che invece di punire i detenuti violenti, sotto il profilo disciplinare e penale, non assume severi provvedimenti”.
“Il personale di polizia penitenziaria non ha ancora ricevuto i previsti guanti anti-taglio, caschi, scudi, kit antisommossa e sfollagenti promessi dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria; e servono anche apparecchiature per schermare le sezioni detentive ed impedire l’uso di telefoni cellulari” l’aspro commento di Capece, che parla di “situazione allarmante per il continuo ripetersi di gravi episodi critici e violenti che vedono sempre più coinvolti gli uomini e le donne appartenenti al corpo di polizia penitenziaria che svolgono servizio senza alcuno strumento utile a garantire la loro incolumità. Il taser potrebbe essere lo strumento utile per eccellenza ma i vertici del DAP continuano a tergiversare, tanto mica stanno loro in prima linea nelle carceri a fronteggiare i detenuti violenti”. Più cauto (ma neppure troppo) il commento di Chicco Veneziano, segretario generale per la Sicilia della UILPA: “Nessuno si è fatto male e nessun agente della polizia penitenziaria è stato preso a ostaggio dei detenuti”, spiega all’agenzia di stampa AGI. “È la seconda rivolta che avviene in Sicilia, dopo quella di Trapani di un mese fa, quando un reparto venne distrutto. Ieri se nessuno ha riportato danni è stato per la grande professionalita’ degli agenti. Dopo decenni di incuria e condizioni di sovraffollamento, la situazione e’ questa. Come mai i detenuti avevano l’olio bollente? Perché possono avere olio da utilizzare per la cucina, cosa che non avviene in altri Paesi dove ci sono i refettori e si mangia solo in quel contesto. L’olio, così come le bombolette e le lamette possono diventare delle armi. Bisognerebbe riflettere anche su questo aspetto”.


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