Il ponte delle meraviglie promesse
Come da tradizione, le promesse sul Ponte sullo Stretto tornano a ruggire, stavolta con la firma del Ministero delle Infrastrutture. “Un capolavoro ingegneristico da record mondiale”, recita la nota, forte di una campata unica di oltre 3 chilometri, sei corsie stradali, due binari ferroviari e torri da 400 metri d’altezza. Un’opera titanica che, nelle parole del Mit, sarà “aperta al traffico 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno”, abbattendo i tempi di attraversamento di un’ora per gli autoveicoli e due per i treni.
Sulla carta, è la fine di un’epoca fatta di traghetti, attese e imbottigliamenti. Nella realtà, resta da vedere. Perché il ponte, più che un’infrastruttura, è finora stato un monumento alle intenzioni: progettato, riprogettato, accantonato, rilanciato. Oggi lo si racconta come se fosse già lì, a svettare tra Scilla e Cariddi. Ma tra l’annuncio e l’asfalto, tra la propaganda e i piloni, resta la distanza abissale della credibilità.
Certo, se mai verrà realizzato, sarà una meraviglia d’acciaio. Ma fino a quel momento, resta una grande opera immaginifica che divide più di quanto unisca: divide le opinioni pubbliche, i bilanci, le priorità del Paese. E, soprattutto, divide il tempo dei proclami dal tempo della concretezza.