Il Governo nazionale impugna la legge siciliana su aborto e obiezione: scontro su diritti e sanità
Nel pieno dell’estate politica, torna a infiammarsi il dibattito su due dei temi più divisivi del nostro tempo: l’aborto e la transizione di genere nei minori. A scatenare la polemica, questa volta, è la decisione del Consiglio dei Ministri — su proposta dei Ministri Schillaci e Roccella — di impugnare la legge approvata dall’Assemblea Regionale Siciliana che prevedeva criteri preferenziali nell’assunzione di personale medico non obiettore nei reparti di ginecologia e ostetricia, con l’obiettivo di garantire l’effettiva applicazione della Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Cosa prevedeva la legge siciliana
Il provvedimento contestato nasceva da una situazione nota e cronica: in molte strutture ospedaliere siciliane, la percentuale di medici obiettori supera anche l’80%, rendendo nei fatti arduo, quando non impossibile, accedere all’aborto nei tempi e nei modi previsti dalla legge nazionale. Da qui l’iniziativa dell’ARS di introdurre un criterio di preferenza nelle assunzioni per i medici disposti a praticare l’IVG, senza tuttavia escludere o penalizzare gli obiettori.La norma si poneva come risposta concreta a una realtà in cui il diritto all’aborto resta spesso solo sulla carta, specie nelle aree più periferiche. Ma per il Governo nazionale si tratta di un atto incostituzionale: violerebbe, secondo Palazzo Chigi, il diritto individuale all’obiezione di coscienza e le competenze statali in materia di tutela della salute.
L’esultanza di Pro Vita & Famiglia
A salutare con favore la decisione del Governo è stata l’associazione Pro Vita & Famiglia, tra le più attive nel campo del conservatorismo bioetico. «Una vittoria per i medici obiettori discriminati», ha dichiarato l’organizzazione, che già il 24 luglio aveva depositato a Palazzo Chigi oltre 20.000 firme per chiedere l’impugnazione della legge siciliana. Ma non è tutto. La nota diffusa dalla Onlus si estende anche alla proposta del Governo di presentare un disegno di legge per regolamentare la somministrazione di farmaci bloccanti la pubertà — come la triptorelina — ai minori con disforia di genere. Un intervento legislativo che prevede protocolli clinici rigorosi, diagnosi multidisciplinari e un registro AIFA per monitorare gli effetti a lungo termine di queste terapie.
Un doppio terreno di scontro
Quello che va in scena è dunque un duplice scontro: da un lato, la difesa della laicità dello Stato e dell’attuazione piena di una legge dello Stato — la 194 — che in Sicilia trova ancora ostacoli culturali e strutturali; dall’altro, la questione delicatissima della transizione di genere nei minori, su cui il Governo Meloni sembra voler stringere il campo normativo, anche in risposta ai timori — enfatizzati in ambienti conservatori — legati all’uso dei farmaci bloccanti. In entrambi i casi, la Sicilia si trova al centro della contesa. Non solo per l’origine della legge impugnata, ma anche per la sua posizione geografica e culturale, ponte tra modelli valoriali diversi, tra diritti individuali e sensibilità collettive ancora in evoluzione. La decisione del Governo è destinata a lasciare il segno, anche sul piano politico. Perché in gioco non c’è solo un confronto su norme e diritti, ma l’idea stessa di sanità pubblica, libertà di scelta e tutela delle minoranze. Una cosa è certa: quel che accade in Sicilia oggi, anticipa con ogni probabilità i prossimi terreni di scontro nazionale. E ci interroga su quale Paese vogliamo essere, al di là delle ideologie.