Il corallo di Sciacca, l’oro rosso di Sicilia tra storia e leggenda
di FRANCESCA GALLO
Unico, raro, misterioso e affascinante. Il corallo di Sciacca, tra i più preziosi oggi in commercio, è un vero “miracolo della natura”.
Di dimensioni piuttosto contenute, la sua unicità è rappresentata dal particolare ventaglio cromatico che lo caratterizza, con sfumature che vanno dall’arancione acceso al rosa chiaro, al nero. Si tratta di un Corallium Rubrum, appartenente alla famiglia del “rosso mediterraneo”. È un corallo sub-fossile databile migliaia, forse milioni, di anni fa, che si è stratificato in 3 giacimenti scoperti alla fine dell’800 al largo di Sciacca. Tutto ha origine nel luglio del 1831, quando, nel Canale di Sicilia, a trenta miglia dalla costa saccense, un’eruzione vulcanica fece emergere un’isola, di circa quattro chilometri quadrati, a 65 metri sul livello del mare. L’Isola fu immediatamente contesa dalle potenze marinare dell’epoca: i primi a prenderne possesso furono gli Inglesi che, nell’agosto del 1831 vi piantarono bandiera britannica e la battezzarono isola Graham. Un mese più tardi arrivarono i Francesi che la ribattezzarono Iulia, lasciando sulla striscia di terra una targa a documentare l’avvenuta conquista. Anche Ferdinando II di Borbone, a capo del Regno delle Due Sicilie, inviò una spedizione per rivendicarne il legittimo possesso. A fine ottobre di quell’anno sull’isola venne piantata la bandiera borbonica e il suo nome venne nuovamente cambiato in Isola Ferdinandea. Nessuno aveva intenzione di cedere il possesso, quando la natura decise nuovamente di entrare in azione e nel novembre del 1831 l’isola si inabissò, ponendo fine alla controversia. Riapparve altre due volte, nel 1846 e nel 1863, per scomparire dopo pochi giorni. Oggi ciò che resta dell’Isola è una piccola superficie sommersa a circa 7 metri sotto il livello del mare. Gli studiosi l’hanno individuata quale parte integrante di un vasto vulcano sommerso presente nell’area del Mediterraneo, l’Empedocle, di cui si registrano attività sismiche da centinaia di anni. Una storia avvincente quella di “Ferdinandea, l’Isola che non c’è”, indissolubilmente legata alla scoperta del Corallo di Sciacca che da sempre ha appassionato ed ispirato uomini, poeti ed artisti, intrecciandosi in una fitta trama di miti e leggende. Si narra che, un giorno di maggio del 1875, il pescatore Alberto Maniscalco, detto “Bettu Ammareddu”, si spinse con la sua piccola barca in quella secca a sud ovest di Sciacca per una battuta di pesca, durante la quale, nel tentativo di recuperare il ciondolo che gli era stato donato dall’amata Tina, finito in mare, si gettò nelle profondità delle acque, imbattendosi nel misterioso “oro rosso”. La notizia della fortunata scoperta si diffuse con rapidità e in breve tempo un numero enorme di barche si riversò nel mare di Sciacca per la pesca del corallo che interessò complessivamente oltre 17 mila uomini. Per anni dai tre ricchissimi banchi, rinvenuti tra il 1875 e il 1880 nell’area dell’Isola Ferdinandea, furono estratti ingenti quantità di corallo grezzo, dalle forme e dai colori unici. Agli inizi del 1900 i tre giacimenti, però, si esaurirono, ma la scoperta del corallo aveva già cambiato il volto della città. I circa 20 milioni di chili di “oro rosso” raccolto avevano riempito magazzini e favorito il commercio. Il corallo di Sciacca venne esportato in tutto il mondo, avvolto da quell’alone di mistero che lo caratterizzava: “come un materiale organico, quale il corallo, soggetto a decomposizione, dopo così tanto tempo sia potuto arrivare a noi integro e bellissimo nelle sue sfumature di arancione così particolari”. Anche in questo caso la natura aveva fatto il suo corso, favorendone la formazione grazie all’eccezionale microclima creatosi conseguentemente ai fenomeni vulcanici sommersi, di cui il mare di Sciacca è ricchissimo. Terremoti ed eruzioni strapparono i banchi di corallo dalla roccia e li depositarono sul fondo del mare, dove rimasero a giacere, immersi nei fanghi vulcanici, iniziando a fossilizzarsi. Ogni ramo di corallo è lo scheletro calcareo di colonie di piccolissimi polipetti bianchi che vivono e si riproducono per via asessuata, facenti parte del gruppo dei Celenterati. Appena pescato, grezzo, appare opaco, talvolta caratterizzato da macchie brunastre e nere, proprio a certificare la sua origine vulcanica, fino al brunato del corallo fossile “bruciato” dalle altissime temperature raggiunte. La sua scoperta fu per la città di Sciacca un vero dono della natura, un evento straordinario che si intrecciò con le vicende di migliaia di uomini, marinai e commercianti, tra incredibili fortune, tragedie, sogni e avventure. Una storia oggi raccontata nel Museo del Corallo di Sciacca, allestito nei locali dell’atelier della famiglia Nocito, gioiellieri ed orafi da quattro generazioni. Lì, nel medesimo Palazzo di famiglia, dove nel 1905 la fondatrice Concetta Nocito avviava la sua attività orafa, tramandata oggi alla pronipote Laura, trova spazio una ricca collezione di gioielli antichi, mappe, carte e strumenti di navigazione, frutto di venticinque anni di ricerche, che raccontano l’epopea del Corallo di Sciacca, dalla scoperta alle tecniche di lavorazione, accurate e minuziose, capaci di far emergere la particolare lucentezza vitreo-porcelanosa di un corallo dalle caratteristiche uniche al mondo. Custodi ed interpreti del ricco patrimonio identitario del territorio di Sciacca, i maestri corallari, dal 2013 riuniti in Consorzio, con l’obiettivo primario di tutelare e valorizzare il Corallo di Sciacca, un corallo naturale e rispettoso dell’ambiente, da cui sono nati veri capolavori dell’arte manifatturiera. Divenuto quasi introvabile, ancora oggi nei laboratori artigianali sapienti mani lavorano il prezioso corallo di Sciacca, nel rispetto di un’arte orafa antica, tramandata nei secoli e riconosciuta patrimonio della tradizione siciliana.