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Attualità

I SICANI – Sessantadue anni dopo: lunga vita alla Commissione Antimafia

di massimilianoadelfio -





di PASQUALE HAMEL
“La recrudescenza della criminalità in alcune zone dell’isola e, in particolare, nella provincia di Palermo, ripropone in termini di estrema urgenza ma anche in termini diversi dagli schemi tradizionali il tema della lotta alla mafia”. Sono le parole pronunciate da Giuseppe D’Angelo, presidente della Regione, nel corso della seduta antimeridiana d’Aula del 30 marzo 1962. In quella seduta, così come aveva auspicato D’Angelo, superando le divisioni di parte, venne infatti approvata, con voto unanime, la mozione unitaria con la quale si chiedeva al Parlamento nazionale di procedere, con urgenza, alla costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta proprio sul fenomeno della mafia, determinando quel decisivo salto di qualità nella lotta al fenomeno criminale che, fino ad allora, pregiudiziali politiche e insufficiente attenzione a quanto di devastante accadeva nell’isola, avevano impedito di fare. Il Parlamento nazionale non fu sordo ma rispose all’iniziativa siciliana, approvando meno di nove mesi dopo, e cioè il 20 dicembre del 1962, la legge 1720 che, appunto, istituiva “una Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia.” Le resistenze che, nel passato, si erano registrate soprattutto nelle file della Democrazia cristiana, resistenze dovute a certe equivoche interpretazioni della lotta alla mafia come strumento per il ridimensionamento del potere democristiano, era state superate nel corso del Congresso della DC del gennaio 1962, congresso tenutosi a Napoli che aveva registrato la lunghissima relazione del segretario politico, Aldo Moro, sulle “linee politiche e programmatiche per lo sviluppo della società italiana.” In un passaggio di quella relazione, anch’essa approvata all’unanimità, c’era stato il via libera all’iniziativa, un via libera tanto atteso dalle parti più sensibili di un partito i cui valori fondativi, bastava per tutti ricordare l’impegno di don Luigi Sturzo, facevano a pugni con la mafia e la cultura mafiosa. La prima Commissione, presieduta dall’onorevole Paolo Rossi, illustre giurista di fede socialista, costituita nel febbraio del 1963, non tenne, però, alcuna seduta a causa dell’avvenuto scioglimento delle Camere. Alla ripresa dell’attività legislativa la guida della nuova Commissione parlamentare antimafia venne affidata ad un magistrato, eletto nelle fila della Democrazia cristiana, il senatore Donato Pafundi che impresse un ritmo notevole ai lavori. Per la cronaca, l’avvio dei lavori fu segnato da molta attenzione per l’indignazione popolare generata dalla strage di Ciaculli avvenuta cinque giorni dopo la sua costituzione, nella quale persero la vita il tenente dei carabinieri Malausa e altri sei membri delle forze dell’ordine. La Commissione si diede Il compito di analizzare, limitatamente alla regione Sicilia, la genesi e le caratteristiche del fenomeno mafioso, al fine di produrre le misure necessarie per reprimerne le manifestazioni ed eliminarne le cause.
La legge istitutiva, forse perché c’era la speranza che il fenomeno mafioso, come tutti i fenomeni umani, “avesse una fine”, non prevedeva una Commissione permanente, e tuttavia, dal momento della sua istituzione, ad ogni nuova legislatura, con l’eccezione della settima, cioè dal 1976 al 1979, venne riproposta facendo un lavoro notevole, testimoniato dai documenti elaborati. Dopo il senatore, la Commissione fu presieduta da Francesco Cattanei, avvocato e docente universitario e, quindi, dal Luigi Carraro, preside della facoltà di giurisprudenza dell’università di Padova. Nel 1976, considerato uno spartiacque fra la prima fase e la seconda dei lavori dell’antimafia, il bilancio dei lavori fu imponente, si condensò infatti in quarantadue volumi di atti per un totale di circa 30.000 pagine. Nel 1979, la Commissione fu ricostituita e registrò fra i suoi presidenti personaggi come il comunista Gerardo Chiaromonte, un intellettuale di onesto sentire che fu uno dei pochi del suo partito a prendere le difese di Giovanni Falcone, ma anche un magistrato ma, al tempo stesso letterato, come Luciano Violante che la presiedette dal 1992 al 1994, o la ex democristiana Rosy Bindi, coinvolta nella polemica sui cosiddetti “impresentabili” che ne fu presidente dal 2009 al 2013. Altri big di partito che hanno ricoperto la carica di presidente della commissione antimafia furono Giuseppe Pisanu dal 2008 al 2013 e Ottaviano del Turco, dal 1996 al 2000, ma anche Francesco Forgione, esponente di rifondazione comunista, la cui presidenza fu contraddistinta da estremo rigore e altrettanta correttezza. Oggi, trascorsi 62 anni dalla sua istituzione, nonostante il contributo che la Commissione ha offerto alla lotta alla mafia qualcuno, retoricamente, si chiede se tale strumento, voluto dal presidente D’Angelo e dall’Assemblea regionale siciliana dopo la bufera milazziana, risponda ancora alle ragioni che ne giustificarono la istituzione, una domanda alla quale noi, rispondiamo, senza nessuna esitazione, affermativamente.