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I SICANI – La teoria istituzionalistica del diritto di Santi Romano

di Redazione -





Santi Romano (Palermo 1875 – Roma 1947) si laureò in giurisprudenza nel 1896 all’Università di Palermo, dove fu allievo di Vittorio Emanuele Orlando. Percorse una brillante carriera accademica, venendo nominato anche preside della facoltà di giurisprudenza a Pisa, dal 1923 al 1925, a Milano dal 1925 al 1928. Nel 1934 il Re lo nominò senatore del Regno.  Fu anche presidente del Consiglio di Stato fino all’11 ottobre 1944.

A lui si deve uno dei più importanti contributi alla dottrina giuridica dei nostri tempi. Secondo Romano, “il diritto, prima di essere norma e prima di concernere un semplice rapporto o una serie di rapporti sociali, è organizzazione, struttura e posizione della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come unità, come ente per sé stante“.  Il diritto scaturisce dalla struttura della società, sicché nulla vieta che esista una pluralità di ordinamenti giuridici coesistenti. Nella sua concezione, il fenomeno del diritto non si esaurisce nella norma, ma nasce e si immedesima con l’istituzione, la quale si erge sopra gli associati come persona giuridica distinta dalle persone fisiche.  L’istituzione non è la sommatoria dei soggetti che la compongono, ma ha una propria soggettività che si esprime nella dimensione dell’auto-nomia, ossia nella capacità di darsi da sé il nomos.  Le regole dei rapporti tra i consociati diventano vincolanti perché promanano dall’istituzione che esprime una volontà superiore; e dunque la posizione di supremazia, che caratterizza l’istituzione, consiste nella capacità di emanare norme giuridicamente vincolanti, la cui validità prescinde dal consenso degli interessati.  

A parere di chi scrive, l’istituzionalismo di Santi Romano è particolarmente rilevante, essendo in grado di creare un ponte tra le due scuole di pensiero storiche, giusnaturalistica e positivistica.  La prima, com’è noto, ravvisa nel diritto il risultato evolutivo dei comportamenti umani, socialmente accettati e divenuti consuetudinari. Il carattere “naturale” può derivare, in una versione, dalla grammatica dei rapporti umani, necessaria e costitutiva, di provenienza divina; oppure, in una seconda versione, dalla spontanea evoluzione dei rapporti sociali, storicamente data e culturalmente (non già divinamente) fondata.  Come che sia, il giusnaturalismo propende per un’accezione “estensiva” del diritto, che non promana solo dalle deliberazioni dell’autorità costituita e si forma nel consesso sociale non istantaneamente, bensì in un determinato lasso di tempo.  La scuola giuspositivistica, al contrario, propende per un’accezione restrittiva del diritto, tutto conchiuso nelle formule verbali delle regole intenzionalmente deliberate dall’autorità costituita. In questa seconda, più ristretta accezione, l’ordinamento giuridico non è il risultato evolutivo delle relazioni che si instaurano nel consesso sociale in base alle norme di cultura, bensì l’insieme delle deliberazioni istantanee dell’autorità costituita.

La dottrina di Santi Romano, identificando nell’istituzione la fonte del diritto, accoglie, per un verso, l’idea del suo fondamento storico-culturale, cara ai giusnaturalisti, per altro verso, l’idea della sua provenienza “autoritaria”, cara ai giuspositivisti.  Il fenomeno istituzionale ha una genesi storico-culturale, giacché non nasce per deliberazione intenzionale di un’autorità costituita, ma è il risultato di un processo costituente che si protrae nel tempo e ha radice nei valori socialmente accettati e consolidati, per sedimentazione secolare; in ragione di ciò, il formante storico-culturale è alla base delle relazioni giuridiche.  Al contempo l’istituzione, a seguito del processo costituente, si fa autorità costituita e detta le regole vincolanti per i consociati, cosicché le relazioni giuridicamente accettate sono necessariamente conformi a quelle regole, intenzionalmente e istantaneamente deliberate, verbalizzate in un atto apposito, dotato del crisma dell’autoritarietà.  

Inoltre la teoria del Santi Romano ci pare ulteriormente pregevole, in quanto compiace l’autentico pluralismo, alla base dell’ordinamento di libertà.  La pluralità delle opinioni e dei programmi politici, nonché dei partiti politici che si contendono il potere sovrano, possono ritenersi le colonne portanti dell’edificio democratico; ma non meno rilevante è la pluralità degli ordinamenti giuridici.  La stessa idea della “libera Chiesa in libero Stato” e la dinamica delle relazioni internazionali tra gli Stati presuppongono l’accettazione, in primo luogo concettuale, in secondo luogo normativa, di una pluralità di ordinamenti giuridici coesistenti. Orbene, la dottrina del Santi Romano fornisce la base torica di siffatta pluralità, giacché non assegna allo Stato il monopolio della giuridicità.  L’istituzione non è solo quella statuale, ma qualsivoglia organizzazione, formatasi nel tempo, capace di esprimere sovranità.  Nel solco della teoria istituzionalistica, il monopolio della coercizione legittima appartiene allo Stato, ma non il monopolio delle fonti del diritto, giacché Santi Romano non riduce il diritto alla norma, né tanto meno riconosce validità alla sola norma assistita da sanzione (coercitiva). La sua sistematica è ben lontana dalla teoria pura del diritto di Hans Kelsen, la quale attribuisce il crisma della giuridicità solo alla norma sanzionata, inserita in un castello piramidale, nel quale la validità di ogni norma fa rinvio a quella di grado superiore, fino a pervenire alla sommità costituita dalla Grundnorm. Siffatto castello può descrivere solo l’ordinamento statale, cosicché il positivismo “puro” del Kelsen costituisce la cornice teorica del monismo giuridico (statale), mentre ravvisiamo nell’istituzionalismo di Santi Romano il fondamento teorico del pluralismo ordinamentale, alla base della democrazia liberale.  Da questo punto di vista, riteniamo che il contributo dell’illustre siciliano alla dottrina giuridica moderna sia stato particolarmente rilevante e significativo, costituendo la base teorica della moderna democrazia pluralistica.  La democrazia o è pluralistica o non è; Santi Romano ci ha permesso di comprendere le ragioni profonde dell’assioma.    

di MICHELE GELARDI