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Attualità

I SICANI-Gibellina, un miracolo di architettura rivoluzionaria

di massimilianoadelfio -





di PASQUALE HAMEL
Il 15 febbraio 1968, la forza brutale della natura si abbatte su uno dei territori più poveri della Sicilia. Numerosi centri abitati della Valle del Belice vengono rasi al suolo. Ovunque lutti, dolore, macerie. Tutto dà la sensazione di un mondo definitivamente seppellito dall’immane catastrofe. Una sensazione smentita dal caparbio desiderio di non rassegnarsi. Gibellina, uno dei centri maggiormente colpiti tanto da doverne trasferire l’abitato, è la manifestazione evidente di questa rinascita, del “ricostruire sulle pietre della consapevolezza e della ragione, e anche, perché no? Sulle pietre della bellezza” come ha scritto Vincenzo Consolo. Gibellina è l’epifania di una nuova esperienza: una città che nasce “dal soffio creativo dell’arte.” Sì, perché questo luogo utopico nell’ambizione dei suoi ideatori avrebbe dovuto essere un modo nuovo di edificare un abitato, un’ardita sperimentazione di una città ideale. Gibellina è, infatti, una città d’arte che nella mente dei suoi ideatori ambisce a disegnare un modello nuovo, certamente ardimentoso almeno in un Paese tanto facile a scandalizzarsi quanto timido nel riconoscere il genio creativo. È lo spazio che, nella concezione del suo progettista Marcello Fabbri, andava riempito secondo un ordito razionale, lo spazio che proponeva alla comunità dell’antico sito, per secoli abbarbicata su una collina, astretta dalla miseria, un progetto di liberazione, un salto epocale,
un tuffo in un futuribile, un mondo diverso, che a coglierne i segni diventa avventura esaltante. Moderno e post-moderno si incontrano, si sfidano, si integrano nelle costruzioni e negli spazi che intramano il tessuto urbano. Gibellina è anche un percorso, un viaggio fascinoso negli arditi percorsi del Novecento, un percorso che, ad ogni angolo, regala una sorpresa. E, a proposito di sorprese, ad accogliere il visitatore, come porta della città, è la grande Stella di Pietro Consagra, creazione carica di simbolismi e di richiami. Ed oltre la porta, il giardino degli odori a inebriarci dei profumi delle essenze mediterranee. Un richiamo, al di là dell’utopia, al contesto ambientale nel quale la città affonda le sue radici. Ed ancora, addentrandoci nell’abitato, il palazzo De Lorenzo, di Francesco Venezia, esempio di assenza di rotture di continuità fra antico e moderno. Conquistati ed affascinati già da questi primi impatti ora ci scorre dinanzi il Sistema delle piazze, una ardita provocazione di Franco Purini e Laura Thermes che reinterpreta, in termini avveniristici e laici, la struttura della stoà greca, ma che soprattutto crea effetti ottici di profondità e di equilibrio e che vagamente ricordano le dimensioni metafisiche di Giorgio De Chirico. Il Meeting, di Pietro Consagra, l’edificio scultura che propone il modello di città frontale, del Teatro purtroppo ancora incompleto. Capolavoro architettonico, carico anch’esso di simbolismi sapienziali, è la Chiesa Madre, progettata da Ludovico Quaroni e da Luisa Anversa. Esempio di architettura razionale e funzionale è il Municipio, opera di Alberto e Giuseppe Samonà e Vittorio Gregotti. Si tratta, in questo caso, di un calibrato gioco di vuoti e pieni con soluzioni altamente innovative anche per il rapporto con il contesto ambientale circostante. Anche qui infatti, i progettisti privilegiano la continuità fra edificato e ambiente piuttosto che la rottura per, eventualmente, farne emergere una monumentalità che, ideologicamente avrebbe decretato una separatezza fra potere e comunità. La casa del farmacista di Franco Purini e Laura Thermes, il giardino segreto 1 e il giardino segreto 2 di Francesco Venezia, la torre civica di Alessandro Mendini, il sacrario ai caduti di Giuseppe Uncini tanto per citare gli esempi architettonici più eclatanti. La composizione architettonica del complesso edificato è segnata dalla spettacolarità dell’arredo urbano. Tutti gli spazi sono infatti riempiti di operem d’arte, sculture di Pietro Consagra, di Emilio Isgrò, di Salvatore Messina, di Ignazio Moncada, di Nino Franchina, di Carmelo Cappello,di Paolo Schiovacampo, di Mimmo Paladino, di Andrea Casella, di Costas Varotsos, di Ignazio Legnagli, di Fausto Melotti, di Turi Simeti, di Alfonso Leto, di Arnaldo Pomodoro, tanto per citare i nomi più noti e, soprattutto, lo stupefacente e ad un tempo inquietante Cretto di Burri. È, quest’ultima una delle più importanti realizzazioni di land art del Novecento, un monumento alla memoria della tragedia. Ma Gibellina sorprende ancora perché detiene, nel suo museo civico di arte contemporanea, una delle più belle collezioni d’arte contemporanea esistenti nel nostro Paese. Nelle sue sale si possono ammirare opere di artisti come Carla Accardi, Salvatore Fiume, Lucio Fontana, Renato Guttuso, Mimmo Rotella, Mario Schifano. Proprio Mario Schifano ha realizzato per Gibellina lo splendido ciclo Natura naturans, undici grandi tele che sintetizzano emblematicamente il suo messaggio artistico. Gibellina è, dunque, miracolo in cui architettura, scultura, disegner, arte in genere che, come sostiene Dominique Fernandez, divengono struttura e ne segnano un’identità rivoluzionaria.