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Cultura

I SICANI – Costantino e l’abate Vella. I falsi che fecero la storia

di Redazione -





di ANTONINO SALA-Costantino e l’abate Vella. I falsi che fecero la storia

La fantasia dell’uomo è qualcosa di straordinario, riesce ad aprire mondi incredibili e favolosi. Ma quando passa a essere falsificazione diventa pericolosa per la verità storica e per la cronaca, perché riesce a cambiare il corso degli eventi. Uno di questi casi fu la cosiddetta “Constitutum Constantini” (Donazione di Costantino), secondo la quale l’Imperatore romano Costantino I (Naissus, 27 febbraio 274 – Nicomedia, 22 maggio 337) avrebbe concesso una serie di privilegi a Papa Silvestro I. L’atto ebbe risvolti rilevanti perché fu la giustificazione che i pontefici romani diedero al mondo per il loro potere temporale. Nel falso documento sono tracciate le concessioni più importanti, quali: il primato (principatum) del vescovo di Roma sulle chiese patriarcali orientali: Costantinopoli, Alessandria d’Egitto, Antiochia e Gerusalemme; l’autorità della chiesa di Roma su tutti i prelati del mondo; la sovranità della Basilica del Laterano, in quanto “caput et vertex”, su tutte le chiese. Inoltre i successori di Pietro, grazie alla Donatio, si appropriano degli onori, delle insegne e del diadema imperiale con la giurisdizione sull’Urbe, l’Italia e sull’Impero romano d’Occidente oltre ad una serie di proprietà estese fino in Oriente.
Scrive lo storico Federico Chabod in “Lezioni di metodo storico” nel 1978: “l’Imperatore Ottone III, in un diploma del 1001, ripudiò il Costituto, perché non riscontrava nella pergamena, presentatagli come originale, i caratteri esteriori che garantissero l’autenticità dell’atto, e poteva anzi indicare il contraffattore nella persona del diacono Giovanni dalle dita mozze (…) Senonché, se nessuno potrebbe più oggi sognarsi di attribuire veramente a Costantino la Donatio, il Costituto conserva ugualmente una importanza di primissimo ordine per la storia dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa nell’alto Medioevo, in questo senso: che il documento, fabbricato in epoca posteriore all’epoca di papa Silvestro e di Costantino, probabilmente nella seconda metà del secolo VIII, è preziosa rivelazione delle aspirazioni e degli intendimenti politici della Chiesa stessa in una certa fase del suo sviluppo, è sicura testimonianza della cresciuta potenza e autorità del papato, che può quindi, ad un certo punto, esigere per sé la piena parità col potere politico. Non serve a nulla per la storia del secolo IV, ma serve moltissimo per quella del secolo VIII”. Poi nel 1440 lo studioso Lorenzo Valla con la “De falso credita et ementita Constantini donatione” (Sulla Donazione di Costantino falsamente attribuita e falsificata) dimostrò l’assoluta fallacia del testo, facendo giustizia di secoli di lotte e di pretese che avevano preso la mossa da un falso documento.
Un’altra famosa “impostura” fu quella “arabica” compiuta con abilità dall’Abate Giuseppe Vella tra il 1782 e il 1795. Il monaco di origini maltesi, nel clima di scontro che si respirava in Sicilia tra il vicerè Domenico Caracciolo e l’aristocrazia locale di cui tentava di ridurre i privilegi, si inventò una “neolingua” spacciata per arabo, con la quale aveva scritto un testo di storia della Sicilia musulmana con il risultato di mettere in discussione l’origine e la legittimità della feudalità isolana. Il Vella poté realizzare il suo inganno, perché a Palermo nessuno conosceva l’arabo e quindi ebbe gioco facile nello spacciare per vera l’opera Il Consiglio di Sicilia nel quale c’era “un (falso) carteggio degli emiri di Sicilia con i principi arabi dell’Africa settentrionale”, tratto da un codice che invece era solo una biografia di Maometto. L’abilità furfantina fu tale da determinare molto scalpore ed entusiasmo per la sua pseudo scoperta, tanto che gli fu affidata persino la prima cattedra di lingua araba presso l’Università di Palermo. Arrivò all’assurdo che, come dice Fara Misuraca, “dal codice tradotto dal Vella si evinceva che non erano stati i Normanni a fondare la storia moderna della Sicilia ma gli Arabi”. La verità venne comunque a galla grazie al canonico arabista Rosario Gregorio e a Joseph Hager dell’Università di Vienna, incaricato da Re Ferdinando IV di Napoli di chiarire la vicenda e Giuseppe Vella fu processato e condannato a 15 anni di carcere, poi commutati in domiciliari. In ogni caso la vicenda determinò il fatto che, proprio per quello che era avvenuto, in tanti si dedicarono allo studio dell’arabo e dell’oriente, come Michele Amari e Domenico Scinà allievo del canonico Rosario Gregorio. Il poeta Giovanni Meli persino gli dedicò La Minsogna Saracina, Leonardo Sciascia ci scrisse il romanzo Il Consiglio d’Egitto nel 1963, che ispirò nel 2002 il film di Emidio Greco e il saggio di Andrea Camilleri Le “Croniche” di uno scrittore maltese. in Romanzi storici e civili.
I falsi alle volte fanno la storia, ma lo studio restaura sempre la verità.