I “Macconi” di Acate e Gela: il tempio ignorato dello scempio ambientale
di CESARE PLUCHINO
Uno scempio ambientale, sulla costa meridionale della Sicilia, una terra dei fuochi in salsa isolana, che si perpetua da cinquant’anni. Una emergenza ambientale di proporzioni inimmaginabili che interessa la foce del Dirillo e i tredici chilometri di spiaggia fino a Gela. A ridosso delle spiagge, la fascia trasformata che prima ha invaso il sistema dunale e via via si è integrata nello stesso. Nonostante una forte erosione costiera non si è voluto mai rideterminare la linea demaniale. Non solo: la spiaggia è invasa dalla plastica dismessa delle serre e da ogni tipo di rifiuti e scarti dell’agricoltura. Tutto ammassato, scaricato e bruciato, quotidianamente, da oltre quarant’anni, in un territorio che potrebbe essere uno degli angoli più belli e suggestivi non solo della provincia di Ragusa. Addirittura, ci sono discariche abbancate meccanicamente sul letto del fiume, mentre altri quantitativi consistenti di plastica vengono dati alle fiamme, il cosiddetto fenomeno, incontrastato, delle ‘fumarole’. Naturalmente non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma l’imponenza e l’evidenza del fenomeno non consentono di trovare giustificazioni per il settore, si può solo non accusare direttamente qualcuno. Fra gli agricoltori della zona c’è anche chi ha denunciato lo scempio. Qualche agricoltore arriva a dire che lo scempio ambientale è tale da richiedere interventi immediati e continuativi, da parte delle autorità preposte, anche se l’indifferenza si fa strada e le associazioni ambientaliste sembrano rassegnate. Qualcuno pensa a chi produce la plastica e a quanti miliardi girano sulla vendita di gancetti, teli plastici e fili in nylon, i consorzi di smaltimento sono pagati nelle fatture, ma non si vedono: la raccolta delle plastiche viene affidata a privati, una realtà spesso collusa con la criminalità, chi ne paga le conseguenze vere sono i produttori che si ritrovano privi di un servizio propedeutico alla serricoltura.
Serricoltura che produce i migliori ortaggi in ambiente protetto del mondo, basterebbe lavorare e lottare per smaltire e bonificare legalmente i materiali e investire in una transizione che porti nella produzione intensiva in serra l’utilizzo di materiali biodegradabili, delimitando le aree produttive da quelle naturalistiche, prevedendo controlli serrati nelle aree più a rischio e di punire severamente i responsabili di abusi. Le serre, nel bene e nel male, sono state per la nostra terra un motivo di riscatto per centinaia di famiglie di contadini che hanno ridato dignità alle comunità locali, che con un fazzoletto di terra in una rudimentale serra in legno coperta da una plastica, riusciva a produrre molto di più rispetto al pieno campo. Alla deputata regionale del Movimento 5 Stelle Stefania Campo il merito di avere, più, volte, portato all’attenzione lo scempio ambientale, ma senza risultati concreti. Sempre nel 2019 furono coinvolti gli assessori regionali, del tempo, al Territorio e Ambiente, all’energia e all’agricoltura. Arrivò anche una sollecitazione del Ministro, in ogni caso tardiva, rispetto all’emergenza, rivolta alla Regione, alla Provincia, al comune di Acate e all’ARPA, che faceva solo sorridere: si chiedevano, pur avendo avuto contezza dello stato dei luoghi, “tutti gli elementi informativi sulle iniziative intraprese dagli enti sopracitati, in questi lunghi anni, per il risanamento ambientale dell’area”. Ci fu anche una lettera indirizzata al Presidente della Regione Musumeci ‘diretta a sensibilizzare l’amministrazione regionale circa l’urgenza di attivare i necessari interventi, in considerazione delle ‘insopprimibili esigenze di risanamento’. Fu avviata, dal Ministero, sempre senza risultati, un’ampia operazione di verifica delle condizioni ambientali dell’area. Vennero fuori anche annunci dell’allora sindaco di Acate circa un presunto finanziamento di un milione di euro per la pulizia di parte della costa dei Macconi, ma non si è visto mai nulla. Uno degli ultimi atti della vicenda, a gennaio del 2022, il sequestro di oltre 60.000 mq di litorale, le dune sabbiose dei Macconi, intrise da rifiuti di ogni tipo. Anche Legambiente Sicilia ebbe modo di plaudire all’operato, fiduciosa che, grazie ai nuovi strumenti normativi previsti dalla legge sugli ecoreati, si sarebbero potuti contrastare i fenomeni. Da allora, più nulla. Considerata l’enormità dello scempio ambientale, battaglie assai poche, la politica assente, resta la scandalosa discarica, con tonnellate di rifiuti sepolte sotto le dune. Si potrebbero organizzare gite di gruppo per i turisti, perché di queste cose se ne vedono raramente nel mondo.