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Giù dal balcone con il figlio: “Chi è un papà?”

Il pedagogista Giuseppe Raffa, traccia la figura del padre oggi. Non è un j'accuse ma una serie di costatazioni di fatto

di Redazione -





È nel reparto di rianimazione dell’ospedale Di Cristina, il bimbo che la vigilia di Natale è caduto insieme al padre, professore universitario di ingegneria di 38 anni, dal sesto piano di un palazzo in via Ausonia, a Palermo. L’uomo è morto. Il piccolo è cosciente, sembra star bene ma è sempre sotto osservazione. Ha un braccio rotto e ha traumi al torace e all’addome. Gli investigatori stanno cercando di ricostruire quanto successo. Testimoni raccontano che l’uomo si sarebbe lanciato con il figlio. La moglie della vittima, mamma del bambino, era morta per il covid. Un dolore enorme. Il dottor Giuseppe Raffa, pedagogista, traccia la sua analisi di un fatto che apre le porte a tante riflessioni sul ruolo genitoriale.

Voleva uccidersi assieme al figlio di 4 anni, giù dal balcone? Oppure è stata solo una tragica fatalità? Saranno gli inquirenti a far luce sulla tragedia. Di certo, c’è la crisi del genitore. Vi sono i padri che uccidono i figli e le madri; sono tanti, troppi i papà non più autorevoli e neanche presenti. Una figura, quella paterna, a volte assente, spesso periferica nel contesto familiare. E se non legate al caso di specie, è tempo comunque di riflessioni sulla figura del padre; è ora di tornare a parlare del ‘deficit di padre’, copyright dello psicanalista Luigi Zoya. Discutere del momento di epocale “evaporazione della figura paterna”, Massimo Recalcati dixit. Crisi nuova o vecchia, quella del pater familias? Vecchia, anzi di lungo corso la tribolazione del ruolo di padre, che affonda le radici nel lontano 1938, in coincidenza con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, sosteneva lo psichiatra francese Jaques Lancan. Un padre prima solo periferico, oggi inesistente; come attestano i tanti fatti di cronaca con protagonisti tanti, troppi giovani senza padre, quelli privi dei principi paterni di responsabilità e di giustizia. Ragazze e ragazzi sempre più cinici e violenti, abili solo nello scaricare sugli altri e/o verso se stessi l’aggressività che un tempo era contenuta dal padre nell’ambito del conflitto generazionale. Lo diceva Freud: “Senza padre difficilmente i giovani sono in grado di controllare la propria aggressività. Il padre rappresenta la responsabilità, rappresenta la legge”. Con ‘talis pater’ la aggressività e la violenza dei ragazzi sono debordate nelle aule -bullismo scolastico-, tracimate in strada -bullismo sociale-. Vi è un pericoloso collegamento tra la devianza giovanile e l’assenza del padre. Negli Stati Uniti, l’85% dei giovani carcerati è senza padre. Un adolescente così, si trasforma in un adulto refrattario a regole, norme, leggi. “Il deficit di padre – rileva lo psicologo anglosassone Henry Biller – è uno dei fattori che stanno alla base dei più importanti problemi sociali: la tossicodipendenza, l’intolleranza, la criminalità giovanile, la perdita di motivazione e la voglia di vivere”. Per il pediatra anglosassone Donald Winnicot, il bambino è deprivato “quando gli vengono a mancare certe caratteristiche essenziali della vita familiare, non ultima la presenza del padre”. I figli vengono segnati per sempre da quanto vissuto da piccoli e da adolescenti: si chiama ‘urto di reminiscenza’. Se si vuole porre un argine alle emergenze giovanili, occorre il ritorno del padre. Che deve recuperare centralità nella educazione e sforzarsi di acquisire i nuovi codici educativi e pedagogici. I giovani, hanno di bisogno come l’aria di una figura maschile di riferimento: il padre, appunto. Ma anche uno zio, un fratello maggiore, un docente, un prete. La paternità, secondo don Mazzi, che sulla questione ha scritto ‘Nel nome del padre’, “è un fatto storico e religioso. Il padre è il protagonista della seconda nascita del giovane, occorre recuperare la sua figura e soprattutto la coscienza paterna”. Ma che tipo di padre serve oggi? Un papà che sappia tornare ad essere un valido, fermo e importante punto di riferimento e di identificazione. Da pedagogista penso ad un padre a tutto campo, bravo quando i figli sono piccoli ma abile, anzi abilissimo quando crescono e diventano refrattari alle figure di riferimento. Si è padri sempre per i figli. I principi e i valori trasmessi dal papà (e dalla mamma) accompagnano nelle scelte di vita, abitano i pensieri anche da vecchi. È ora di farla finita coi padri assenti ma anche con gli ‘amiconi’ dei figli. È tempo di stoppare i ‘papà peluche’ e frenare i ‘papà bancomat’. È utile convincere padri e madri che fanno ‘shareting’ -bambini sono troppo esposti nei social- che stanno sbagliando. Urge una figura di nuovo autorevole e preziosa, “aiuto materiale e necessario supporto psicologico”, come spiegano gli psicologi Diego Miscioscia e Paola Nicolini. Non è il caso di Palermo, forse; ma quello che è successo, fa riflettere.